Da oltre otto mesi sono accampate davanti all’entrata del Ministero dell’Economia, ad Atene. 595 donne, lavoratrici delle pulizie dipendenti a contratto del dicastero delle finanze, licenziate in blocco per far spazio ai tagli del personale nella pubblica amministrazione. Dormono in tenda, una affianco all’altra, per reclamare il diritto a essere reintegrate nel loro ruolo di addette alle pulizie del tesoro greco. 250 notti passate all’addiaccio in corso della Vittoria, vicino piazza Sintagma, al centro di Atene, per contestare il licenziamento.

Hanno tutte tra i 45 e i 60 anni, le rughe sui loro volti parlano di fatiche e vita vissuta, il loro aspetto è quello delle madri e delle mogli della maggioranza dei greci. Nei loro occhi è apparsa la luce del coraggio, della ribellione, della speranza di una vittoria finale che non le ha mai abbandonate. Hanno deciso di uscire di casa, fare della strada antistante il Ministero del Tesoro la loro dimora notturna. Hanno sfidato un potere che è tanto più grande di loro, come forse non si rendono neanche conto. Il potere di un intero governo che ha basato la sua legittimità non sul consenso - ormai sceso sotto i livelli di guardia, come è emerso dalle ultime consultazioni europee - quanto sul fatto oggettivo di rappresentare per il trio costituito da FMI, Ue e BCE, la cosiddetta Troika, l’unica opzione possibile per ottenere la riduzione del debito e la restituzione dei miliardi di euro in prestiti.

Fiumi di denaro erogati
in questi anni per evitare il tracollo finanziario del paese, sotto i colpi della speculazione internazionale. Che, come nella più classica delle scommesse, ma anche la più spietata, aveva puntato tutto sull’uscita del paese dall’euro e il suo default. Un governo che mette in atto senza discutere, vagliare, o mediare ogni misura richiesta dalle istituzioni che rappresentano i creditori esteri. Senza filtri, senza ammortizzatori, paracadute. Misure lacrime e sangue, come siamo abituati a sentirle definire ormai da anni su tutti i media europei.

Ma cosa significa realmente per la vita delle persone nel paese ellenico è ancora difficile capirlo per chi vive al di fuori. Basti pensare che il governo ha dovuto fare in fretta e furia, questo inverno, una legge per vietare l’utilizzo della legna per il riscaldamento, dal momento che il 90 per cento degli ateniesi non ha potuto accendere i termosifoni ed è ricorso a camini improvvisati, con un evidente problema di inquinamento e di sicurezza. La capitale ellenica è oggi più simile alla Londra di inizio Ottocento, ricoperta della fuliggine del carbone e del legno bruciato, che alla città moderna, trafficata e ridente cui eravamo abituati fino a qualche anno fa.  Migliaia di bambini affamati si aggirano ogni giorno per le vie di un centro quasi spettrale. La diffusione improvvisa della povertà ha raggiunto picchi inimmaginabili, e non è raro vedere passanti all’apparenza ben vestiti svenire per la fame.

La dinamica che ha portato le quasi 600 addette alle pulizie a piazzare le tende in corso della Vittoria, davanti al Ministero delle Finanze, è simile a quella di tanti altri lavoratori e dipendenti pubblici licenziati, messi in un aspettativa non pagata e priva di prospettive, o in mobilità, per favorire il risparmio di risorse da parte del governo. Il taglio drastico e orizzontale delle risorse dell’amministrazione pubblica è la risposta alle richieste dei creditori esteri, Fondo Monetario Internazionale in testa, che hanno fornito prestiti e pretendono in cambio molto, tutto: la vita stessa dello stato ellenico. La disoccupazione è al 27,5 per cento, ma sale al 60% tra giovani e donne, mentre la soglia di povertà raggiunge ormai il 45% della popolazione. I consumi si sono ridotti all’osso e la disperazione ha stretto il paese in una morsa letale, sotto la stretta asfissiante delle politiche di austerity chieste dalla Troika e applicate senza filtri dal governo Samaras.

Ma queste signore, le “cleaning ladies” che hanno sfidato direttamente il ministro delle Finanze e il governo greco, rivendicano il loro diritto al reintegro, sancito anche da una sentenza del Tribunale di Atene del 12 maggio scorso. Il tribunale di primo grado ha stabilito infatti l’obbligo per il ministero di reintegrare tutte le (quasi) 600 addette alle pulizie, in considerazione della mancanza di ogni requisito o motivazione dietro a loro licenziamento e dell’assenza di un qualsiasi risparmio per lo Stato. Ma nonostante questo il ministro dell’Economia Stournaras (rimpiazzato da Chardouvelis dopo il rimpasto di governo seguito al risultato delle elezioni europee), infaticabile sostenitore dell’austerity e dei tagli orizzontali, si è rifiutato di eseguire l’ordine stabilito dalla sentenza. Aprendo così un inedito conflitto tra poteri istituzionali: esecutivo contro magistratura, come non accadeva dai tempi della dittatura dei colonnelli. In ballo non è solo la loro riassunzione, che avrebbe un costo complessivo minimo per le casse dello Stato, ma l’intero impianto dell’approccio del governo al problema finanziario strutturale del paese fondato sull’idea di tagli massicci, cessazione del welfare e della spesa pubblica.

Davide contro Golia dunque. O il granello di sabbia che può far inceppare l’intero ingranaggio. La lotta delle donne delle pulizie sta creando al governo greco più problemi di quanti avesse mai pensato potessero arrivare da, all’apparenza, innocue e inoffensive donne delle pulizie. Il ministro per la Riforma Amministrativa, Kyriakos Mitsotakis, che gestisce i licenziamenti chiesti dalla Troika per il settore pubblico, dovrebbe occuparsi di riassumerle come previsto dalla sentenza. Ma, come spiega Dimitri Deliolanes, corrispondente in Italia per la radio-televisione pubblica ellenica, tanto Mitsotakis quanto il capo del dicastero dell’Economia si rifiutano categoricamente di eseguire l’ordine del tribunale. “Il ministro per la Riforma Amministrativa si è messo di punta per non farle riassumere - racconta Deliolanes - mostrando una caparbietà, nel non rispetto delle regole e delle decisioni del tribunale, spiegabile solo con le sue vicende di corruzione e la volontà di eseguire fedelmente gli ordini della Troika per evitare, decadendo da ministro, guai giudiziari”. In accordo con il ministro delle Finanze Stournaras ha presentato un ricorso alla Corte Suprema per bloccare il provvedimento di reintegro. Nel frattempo la solidarietà delle organizzazioni sindacali e della cittadinanza ateniese per le donne delle pulizie ha iniziato a dare risalto alla loro lotta titanica. Il sindacato dei dipendenti pubblici Adedy il 5 giugno scorso ha organizzato in loro sostegno un grande concerto di solidarietà in piazza Syntagma, la piazza principale di Atene.

Ogni giorno centinaia e centinaia di persone hanno iniziato a portare il loro sostegno al presidio delle lavoratrici, e i media indipendenti hanno iniziato a diffondere le loro richieste. Fino allo scorso 12 giugno, quando la Corte Suprema, con un vero colpo di scena, ha stabilito una sospensiva della sentenza del Tribunale di Atene favorevole alle lavoratrici, accogliendo (almeno per il momento) la richiesta del governo e rimandando la decisione finale al 23 settembre prossimo. Fino a quella data, dunque, le donne delle pulizie rimarranno senza lavoro e senza stipendio. Un colpo durissimo, considerando che molte di loro hanno i figli a carico e il loro reddito rappresenta l’unica entrata familiare. Ma le lavoratrici hanno deciso di non arrendersi. Si sono dirette verso il Ministero delle Finanze, per riprendere il loro presidio pacifico che portano avanti da mesi.

Ad aspettarle però, questa volta hanno trovato la polizia, che le ha caricate brutalmente. “Dopo la sentenza”, racconta Dikaìos Psikakos, rappresentante di Solidarity For All ad Atene, che segue da vicino la vicenda e si trovava lì con loro, “erano in preda alla depressione, piangevano. Ma all’improvviso è successo qualcosa di meraviglioso, incredibile: si sono incamminate spontaneamente verso il palazzo del Ministero, pacificamente, per mostrare a tutti la loro intenzione di non cedere e di continuare il presidio e sono state aggredite dalla polizia in assetto antisommossa: ma sono rimaste lì, non sono scappate”. Tre di loro sono finite all’ospedale con ferite al volto e alla testa, e alcuni fotografi e giornalisti sono rimasti contusi.

“Potevamo essere le loro madri, come hanno potuto usare questa violenza?” hanno gridato le donne, riferendosi ai poliziotti che hanno colpito con manganelli e guanti di ferro senza ritegno sulle loro teste e i loro corpi. Forse, come racconta Dikaìos, di Solidarity For All, “i celerini hanno reagito con tanta violenza quanta più rabbia e imbarazzo era evidente nei loro volti per il fatto di trovarsi in quella situazione, a fronteggiare donne disarmate che reclamavano un loro diritto su cui hanno così palesemente ragione”. Del resto, in Grecia da tempo è stato sollevato dalle organizzazioni democratiche il problema della violenza della polizia. Ma in questo frangente la brutalità immotivata della carica ha superato ogni limite, tanto che Amnesty International è intervenuta direttamente con un comunicato stampa ufficiale, il giorno seguente, condannando la brutalità della polizia e sollecitando il governo a rispettare i diritti democratici. I video della manifestazione nel giro di poche ore hanno iniziato a diffondersi in tutto il paese e subito dopo, attraverso internet e i social network, anche a livello internazionale: il governo è stato costretto ad ammettere che le donne avevano ragione e, addirittura, fatto senza precedenti, a rimuovere alcuni agenti individuati come particolarmente violenti.

Una retromarcia tanto più significativa quanto arrivata dopo che i rappresentanti dell’esecutivo avevano, inizialmente, dichiarato che le donne delle pulizie erano estremiste. E che avevano, loro, dato vita a scontri violenti. Ora la solidarietà dei sindacati, delle organizzazioni per i diritti umani, della cittadinanza e dei lavoratori greci nei confronti delle donne lavoratrici è salita alle stelle, insieme alla loro notorietà. Un effetto boomerang per il governo, che si sta trovando tra le mani una patata bollente difficilissima da gestire. Se le “signore delle pulizie”, come ormai vengono chiamate con una sfumatura affettuosa dagli ateniesi, riusciranno a resistere altri tre mesi, fino alla prossima sentenza programmata per il 23 settembre, senza stipendio e senza risorse economiche, vinceranno - come è probabile - la causa e soprattutto la lotta contro il licenziamento del governo.

Queste donne stanno rappresentando simbolicamente la speranza di riscatto per tutti i greci, sottoposti a politiche durissime di tagli e licenziamenti e che si trovano a vivere sulla loro pelle una situazione che ricorda, come commentano tra loro, quella di un paese occupato da un esercito straniero. Per quanto riguarda il settore del pubblico impiego - racconta il giornalista greco Dimitri Deliolanes – “la Troika o l’Unione Europea avevano un’ottima occasione per forzare la leadership politico-parlamentare ellenica a realizzare finalmente una riforma del settore pubblico, volta a garantire la sua efficienza, a combattere il clientelismo che lo affligge, la corruzione endemica. Invece no, hanno scelto di mettere in atto soltanto tagli orizzontali, che hanno portato a ottenere nessun risultato: il settore è sempre più inefficiente, corrotto, clientelare e sempre più sotto di organico”.

L’unico risultato della scure applicata dal governo Samaras, su pressione della Troika, è stato il risparmio di alcuni milioni di euro per il settore pubblico, ma è mancata una riforma che portasse a un cambiamento qualitativo del sistema: “un cambiamento che non è stato voluto e neanche cercato”, conclude Deliolanes. L’ultimo provvedimento in materia economica preso dal governo, a pochi giorni dalle elezioni europee, è stato di vendere 100 delle più belle e famose spiagge del paese. Perfino l’arenile che costeggia il lungomare che va da Atene verso il Pireo, uno dei luoghi più caratteristici e di valore paesaggistico e turistico della nazione, è stato venduto a società private che - secondo i progetti già resi pubblici - ci realizzeranno una sorta di casinò all’aperto, con discoteche, sale scommesse, alberghi. Per non parlare delle incantevoli battigie delle isole Cicladi, finite anch’esse in questi giorni in mano ai privati. Il coraggio delle lavoratrici delle pulizie riaccende la speranza dei greci per un cambiamento. La loro vittoria, questo è certo, cambierà il destino del paese.