Nella Piana di Gioia Tauro è entrata nel vivo la stagione della raccolta. Come ogni anno, i migliaia di ettari di campi coltivati ad arance, limoni e kiwi che circondano l'area industriale di San Ferdinando ospitano migliaia di braccianti stranieri, chiamati a racimolare le tonnellate di agrumi necessarie a foraggiare la grande distribuzione internazionale. Oggi, però, il futuro di questi lavoratori appare più incerto che mai. Perché, qui come nel resto del Paese, gli effetti del primo decreto sicurezza cominciano a farsi sentire in maniera concreta.

“Sono moltissimi i migranti che vivono o ritornano ogni anno nella Piana - racconta Celeste Logiacco, la giovane segretaria generale della Cgil locale, che insieme ad associazioni e una manciata di amministrazioni sta cercando di creare una rete in grado di assicurare diritti e dignità a queste persone -. Fino allo scorso anno, alla maggior parte dei braccianti veniva regolarmente concesso o rinnovato il permesso di soggiorno per motivi umanitari. Adesso invece stanno diventando tutti 'irregolari'. E saranno ancora più sfruttati e più indifesi”. Perché ora sono davvero invisibili, ai margini del sistema economico e sociale di questo territorio.

L’articolo 1 del primo decreto Salvini, com’è noto, prevede che sia abolito il permesso umanitario. Prima del 5 ottobre 2018, data della sua entrata in vigore, la legge prevedeva infatti che la questura potesse concedere il permesso agli stranieri che presentavano “seri motivi, in particolare di carattere umanitario o risultanti da obblighi costituzionali o internazionali dello stato italiano”. Dal 2008 al 2017, in Italia, più di 100 mila richiedenti asilo hanno quindi ottenuto questo tipo di permesso, che ha consentito loro di continuare a vivere e lavorare regolarmente in Italia. Non è un caso se, solo nel 2017, sulle circa 81 mila domande esaminate in Commissione più di 20 mila hanno avuto per esito la proposta di protezione umanitaria. Oggi invece, secondo le stime dell’Istituto per gli studi di politica industriale, circa 70.000 persone che vivono nell’incertezza sul territorio italiano rischiano di diventare sans papier entro la fine del 2020.

Una parte di loro vive e lavora nella Piana di Gioia Tauro. Non solo braccianti, ma anche lavoratori che di fronte alla crisi del comparto agricolo, hanno deciso di impiegarsi in altri settori, come l’edilizia o il commercio. Qui, continua Logiacco, “sono in centinaia a ritrovarsi in questa sorta di limbo”. E a pagare il prezzo più alto sono proprio i più vulnerabili, i più poveri, “quelli maggiormente ricattabili dal punto di vista sociale e lavorativo”. Di fatto, tutti coloro che nella Piana già erano usciti dal circuito amministrativo della protezione internazionale si sono ritrovati da un giorno all’altro privi del diritto di conservare il permesso. Chi aveva un lavoro regolare e non in scadenza di contratto, in alcuni casi, è riuscito anche ad ottenere la conversione, “moltissimi altri, invece, sono in attesa dell’esito della richiesta di permesso o in prossimità della scadenza”.


La tendopoli di San Ferdinando 

Determinare il numero esatto delle presenze in questo territorio è sempre molto difficile, ma durante i mesi invernali si stimano circa 3.500 lavoratori africani ogni anno. I braccianti, però, ora hanno e avranno maggiori problemi a trovare un alloggio dignitoso, seppur di fortuna. Negli ultimi mesi i controlli nelle strutture di accoglienza della Piana sono aumentati in maniera sensibile. Il 9 dicembre scorso, un blitz delle forze di polizia ha setacciato il campo container di Testa dell’Acqua, a Rosarno. Polizia, carabinieri e Guardia di finanza hanno circondato l’intera area intorno alle 8 della mattina e hanno iniziato una serie di controlli a tappeto nei container all’interno dei quali vivono circa 220 cittadini provenienti dall'Africa subsahariana. L’obiettivo era quello di censirli, controllarne i permessi e creare uno sportello mobile all’interno del campo. Dopo lo spettacolare sgombero del 6 marzo scorso di quella che negli anni era diventata la più affollata baraccopoli d'Europa, le uniche strutture di accoglienza rimaste nella Piana sono proprio questo campo tirato su dopo la rivolta del 2010 e ormai autonomo, e la cosiddetta ‘Nuova tendopoli’, una struttura nata nell’agosto 2017 come soluzione temporanea, ma ormai cresciuta a vista d’occhio e divenuta permanente.

Noi di Rassegna eravamo stati da queste parti circa sei mesi fa, proprio per raccontare come si vive e come si lavora nei campi della Piana, e in che modo qualcuno cerca di risolvere i problemi (QUI il nostro reportage). Ma le cose, a quanto pare, stanno cambiando molto in fretta. Sempre più migranti, infatti, s’arrangiano sopratutto nella campagne circostanti. Lo sgombero della baraccopoli li ha sparpagliati su tutto il territorio. E non ha certo risolto il problema, visto che, nonostante la maggiore attenzione da parte delle forze dell'ordine, ora sono molto più difficili da intercettare.

“La tendopoli al momento ospita ufficialmente 444 migranti, ma moltissimi di notte scavalcano le recinzioni per farsi una doccia calda o un per avere un po’ di ristoro. Sono proprio questi ‘neo- irregolari’ prodotti dal decreto Salvini - ci racconta il sindaco di San Ferdinando Andrea Tripodi, appena uscito da una riunione in Prefettura sull’argomento -. Le nuove norme hanno creato una serie di disagi che naturalmente incidono sul quotidiano di tutti. Nelle tende, tra l’altro, sono rimasti soprattutto i più disagiati. Chi poteva farlo è già andato via da qui. La situazione igienico-sanitaria, però, s’è fatta davvero complicata. E ancora una volta siamo stati lasciati soli sia dal governo regionale che da quello nazionale. Il nuovo esecutivo, infatti, non ha ancora fatto nulla, non c’è stato nessun intervento, nessun proposito diverso rispetto al passato. Continuiamo a operare in un’emergenza continua”.

La tendopoli di San Ferdinando 

“È ovvio - spiega ancora Logiacco - che coloro che già vivevano in una condizione precaria con in tasca un permesso di soggiorno, oggi senza nemmeno quello, vedono messa in discussione qualsiasi forma di tutela, anche dal punto di vista dell’alloggio e del diritto alla salute”. Il tutto in pieno inverno, con il freddo che rende tutto più complicato. “Sono certa - conclude - che ci sarà un drammatico aumento dello sfruttamento e del lavoro nero e la diffusione di ulteriori fenomeni di illegalità. Tutto questo gioverà solo alle organizzazioni criminali che approfitteranno della situazione”. Si produrrà, insomma, “nuova manodopera a basso costo e concorrenza sleale per le aziende sane, quelle che rispettano le leggi e i contratti. Così si mettono in difficoltà gli imprenditori onesti che vorrebbero assumere migranti, ma che in assenza di un permesso di soggiorno non potranno più farlo”.

Il lavoro regolare, invece, potrebbe davvero essere una soluzione duratura. Ne è convinto il sindaco Tripodi: “Ma bisognerebbe individuare il lavoro come strumento di integrazione, vigilanza e inclusione - afferma -. E ragionare in termini politici e culturali, a lungo termine. Solo così il fenomeno migratorio, se ben gestito, potrebbe diventare uno strumento di rinascita di questo territorio e della Calabria intera . Dobbiamo combattere tutti insieme questa battaglia, che è morale e di civiltà”. Intanto però, nella Piana di Gioia Tauro, il 2020 inizia come sono iniziati gli anni passati. Se non peggio. Perché in realtà, qui come altrove, illegalità diffusa e manodopera irregolare a basso costo continuano a convenire a molti. Forse a troppi.