Il Nordest italiano come la Svizzera? Il paragone non regge più, con la confinante Slovenia che fa parte dell’Unione Europea dal 2004 e la vicinissima Croazia (la frontiera più vicina è a soli 30 chilometri da Trieste) dal 2013. La libera circolazione dei lavoratori in ambito comunitario toglie in partenza ogni tentazione di limitare quei flussi in entrata (o in uscita) che tre anni fa, ai tempi dell’entrata della Croazia nell’Unione (1° luglio 2013) facevano lanciare al governatore del Veneto Luca Zaia grida d’allarme su improbabili invasioni da est.

Un allarme ingiustificato, anche se non mancava di trovare audience in un Nordest abituato ormai a convivere con una disoccupazione dell’8%, più del doppio rispetto ai tempi d’oro del pre-crisi. E che oggi, impaurito dalle ondate dei profughi in arrivo dalla rotta balcanica, ascolta con ben altro interesse le argomentazioni di chi vuole chiudere le frontiere. Che allora si potesse temere un’invasione, del resto, era assolutamente fuori luogo, visto che Slovenia e Croazia contano assieme una popolazione di poco più di 6 milioni di abitanti, gli stessi che sommano Friuli Venezia Giulia e Veneto, i due territori più esposti ai flussi da oltreconfine. Flussi che peraltro hanno dovuto fare i conti con la moratoria che per due anni, fino al 1° luglio 2015, ha impedito la totale e completa libera circolazione dei lavoratori da e verso la Croazia, esattamente com’era successo tra il 2004 e il 2006 con la Slovenia.

Sul fronte opposto dei fautori del protezionismo si sono sempre schierati i Consigli sindacali interregionali (Csi) italo-sloveni e italo-croati di cui sono componenti Cgil, Cisl e Uil del Friuli Venezia Giulia, che tanto nel 2013 quanto nel 2014 si sono battuti, invano, per la cancellazione della moratoria alla libera circolazione. "Il cui unico effetto – spiega la presidente del Csi Friuli Venezia Giulia-Slovenia Monica Ukmar – è stato quello di impedire o rallentare l’emersione delle consistenti quote di nero che hanno sempre caratterizzato, e che in parte caratterizzano tutt’oggi, i flussi di lavoro transfrontaliero".

Il Friuli Venezia Giulia conosce bene questo tipo di realtà, ben presente non soltanto nel settore dell’assistenza alle persone, ma anche nel comparto agricolo e nelle realtà manifatturiere più prossime al confine. "La crisi ha inciso sul fenomeno – spiega ancora Ukmar – ma non ha frenato i flussi. Stimiamo infatti che ad oggi siano almeno 15mila i lavoratori che varcano il confine per guadagnarsi uno stipendio all’estero: più spesso da Slovenia e Croazia, più recentemente anche nella direzione opposta, visto che cresce il  numero di italiani che cercano lavoro, soprattutto in Slovenia. L’effetto principale della libera circolazione, in ogni caso, è stato quello di consentire in parte l’emersione del fenomeno, riducendo la bolla del lavoro nero".

Restano però problemi da risolvere: su tutti una quota di sommerso che resiste alla regolarizzazione, favorita anche da strumenti facilmente abusabili come i voucher, ma anche gli ostacoli burocratici che complicano la gestione fiscale e contributiva dei rapporti di lavoro all’estero. Rendendo di fatto un po’ meno fruibile il diritto alla libera circolazione. "Su questo versante – conclude Ukmar – l’Europa ha ancora molte lacune da colmare. Si pensi al fatto che gli aspetti fiscali e contributivi sono regolati da convenzioni stipulate sotto l’ombrello dell’Ocse e non dell’Unione Europea".