“L’attenzione del governo sui temi della prevenzione è tutta sulle semplificazioni, prima con il ‘decreto del fare’ e oggi con il Jobs Act, ma a noi questo sembra un errore. Ciò di cui si ha veramente bisogno è un’opera di ‘razionalizzazione’ della normativa in materia di salute e sicurezza. Questo perché ancora mancano pezzi importanti del decreto legislativo 81/2008, ma anche perché il mondo del lavoro, sulla spinta della crisi economica, è molto cambiato”. La prima esigenza di Cinzia Frascheri, dal 2002 responsabile nazionale Cisl per la salute e sicurezza, è quella di una revisione del decreto legislativo 81. Una rilettura necessaria, quindi, non solo per i due aspetti centrali sopra richiamati, ma anche considerando quello che fu il “vizio di nascita” della normativa, ossia la sua approvazione a fine legislatura: “Lavorammo molto bene sul Titolo I del decreto legislativo, mentre dal Titolo II in poi, a causa della mancanza di tempo, il lavoro fu soprattutto di assemblaggio e recupero di quanto legiferato prima, a partire dal famoso decreto legislativo 626/1994. La nostra scelta fu di andare avanti comunque fino all’approvazione, rimandando alcune parti tecniche a momenti seguenti, che però non sono mai arrivati. Una scelta dimostratasi pertanto vincente, sul piano del risultato, ottenuto alla luce di quanto disposto in tema di organizzazione e gestione, non altrettanto sul merito tecnico, visto poi i mancati interventi di riforma e riordino previsti”.

2087. Per la Cisl il decreto legislativo 81/2008 ha bisogno di una sostanziosa razionalizzazione. Può farci qualche esempio?
Frascheri. Se ne possono fare molti. Sul piano meramente tecnico, tanto per dire, in un allegato si legge che è prevista la somministrazione di modiche quantità di vino e di birra nei locali dei refettori durante l’orario dei pasti: una disposizione che, con la sensibilità odierna, non è più accettabile. Ma le vere necessità sono quelle relative all’intervenire su aspetti che hanno un effetto determinante sulla tutela dei lavoratori: penso all’articolo 21, dove si prevede per i lavoratori autonomi e i componenti di impresa familiare la facoltà, e non l’obbligo, di sottoporsi a sorveglianza sanitaria e di avere accesso alla formazione. Tale discrezionalità è figlia del proprio tempo: quando fu scritta tale disposizione – sono trascorsi solo otto anni, ma il mondo del lavoro è pesantemente cambiato – il numero delle partite Iva era limitato, in molte occupazioni e settori erano proprio assenti o non così diffuse. Oggi sono tantissime, e gran parte sono anche ‘finte’, come accade in edilizia, dove i lavoratori non vengono assunti come dipendenti proprio per sgravare le aziende dai costi e dalle responsabilità per la salute e sicurezza. Di conseguenza, formazione e sorveglianza sanitaria vanno oggi rese obbligatorie per tutti, proprio per non creare lavoratori con tutele prevenzionali diverse.

2087. Da più parti si sostiene anche che il decreto legislativo 81/2008 vada completato. Condivide questa osservazione?
Frascheri. Assolutamente sì. Razionalizzare significa anche portare a sistema alcune disposizioni, specie quelle nodali, che non sono state compiute. La Strategia nazionale di prevenzione, ad esempio, prevista e non realizzata, è di importanza capitale proprio in quanto documento politico di prevenzione che traccia le linee fondamentali di intervento. La mancanza di tale documento – che colloca il nostro paese all’ultimo posto tra quelli che se ne sono dotati – consente, tra l’altro, facili incursioni e modifiche nell’assetto normativo a ogni cambio di governo. Il cosiddetto ‘decreto del fare’ ne è un esempio, realizzato proprio in virtù della mancanza di una tale strategia pluriennale. Altro tema importante è il Sistema informativo nazionale per la prevenzione (Sinp), anch’esso previsto nell’articolato del decreto legislativo, e atteso da anni: in Italia, infatti, non mancano i flussi informativi, ma serve una piattaforma che li metta in collegamento, un’unica banca dati, appunto il Sinp, necessaria per poter delineare azioni di analisi e piani mirati di intervento. In questo Sistema, inoltre, dovrebbero confluire anche i dati sull’occupazione e sul mercato del lavoro, permettendo quindi di organizzare azioni coerenti sia per settore sia per tipologia di rischio.

2087. Tema portante dell’azione della Cisl in materia di salute e sicurezza è l’intervento sull’organizzazione del lavoro. In che modo vi state muovendo?
Frascheri. La ‘cattiva’ o ‘inadeguata’ organizzazione del lavoro è il vero grande problema: un tema che aggrediamo da più fronti, in un rapporto di dialogo serrato con le aziende. L’ultima nostra iniziativa è una ricerca-azione, avviata da oltre due anni, sui dispositivi di protezione individuale (Dpi). Essi sono realizzati in maniera standard: non solo non vengono disegnati in un’ottica di genere, quindi distinguendoli tra quelli per uomini e per donne, ma neanche all’interno dello stesso genere, come può essere per tipologie diverse di uomini: anche solo alti e bassi, magri e grassi. Da strumenti di ‘protezione individuale’ spesso diventano dispositivi ‘di disagio individuale’: questo comporta che molti lavoratori non li indossino, mettendosi a rischio di infortunio, ma anche di sanzione disciplinare. Abbiamo allora lanciato la campagna “Sicuramente… belli”, lavorando con due grandi produttori leader nel settore dei Dpi per realizzare modelli diversificati, adatti appunto a ‘generi’ diversi, con caratteristiche fisiche differenti. Campagna di cui presenteremo i risultati nel prossimo autunno.

2087. Altro tema caro alla Cisl è lo stress lavoro-correlato. Come’è la situazione in Italia?
Frascheri. La maggior parte delle valutazioni del rischio stress lavoro-correlato non è realizzata, oppure lo è soltanto per assolvere all’obbligo, risultando non efficace e inadeguata, comunque sempre non svolta con il necessario coinvolgimento degli Rls e Rlst. Il tema non è stato ancora compreso pienamente: il punto dirimente dello stress lavoro-correlato è l’organizzazione del lavoro, così come le condizioni di lavoro, declinabili nei carichi, negli orari, nei ritmi di lavoro. La valutazione del rischio stress lavoro-correlata dovrebbe tenere conto di queste variabili, ma purtroppo non succede: anche laddove viene realizzata, essa è ancora molto tecnica e tradizionale, cioè legata alle macchine, all’ambiente fisico di lavoro, a una visione molto ‘classica’ dell’ergonomia, quando non invece spostata sul piano psicologico, confondendo lo stress lavoro-correlato con altri rischi psicosociali di altra natura (come il mobbing o la violenza sul lavoro). Sullo stress lavoro-correlato, insomma, occorre fare ancora un lungo percorso di formazione e di innalzamento delle competenze, sicuramente dal lato dei lavoratori e dei loro rappresentanti, ma molto anche dal lato datoriale, compresi i Responsabili del servizio di prevenzione e protezione (Rspp) e i medici competenti.

2087. L’ultima domanda è appunto sulla revisione del ruolo del medico competente, su cui state conducendo una campagna. Quali sono i vostri obiettivi?
Frascheri. Il medico competente non si fa coinvolgere nella valutazione dei rischi: questo è un problema rilevante, soprattutto se lo leghiamo all’allungamento della vita lavorativa, quindi al numero crescente di inabilità al lavoro. Il medico competente non può permettersi di fare soltanto diagnosi, magari stabilire l’inidoneità, affidando poi la questione al datore di lavoro e all’Rspp: occorre invece che partecipi alle operazioni di ricollocazione del personale, trovando le soluzioni ergonomiche e organizzative più adeguate per la permanenza al lavoro dell’inidoneo. Altra questione significativa è quella della visita degli ambienti di lavoro. Questa, se è un obbligo da adempiere, che spesso non viene neanche rispettato, in molti casi viene ridotta a mero adempimento da assolvere. La visita va mirata sulle postazioni lavorative: il medico deve conoscere come il lavoratore opera in quella postazione e come, ad esempio, interagisce con quella macchina o si muove in quello spazio specifico. Il medico competente, insomma, non può essere estraneo all’organizzazione del lavoro: la sua ‘competenza’, richiamata anche dal suo ruolo di ‘medico competente’, va esercitata e gestita meglio, e più alto deve essere il suo valore aggiunto, vista l’importanza che sempre di più va acquisendo, con l’invecchiamento della popolazione lavorativa, ma non meno, con la paura da parte dei lavoratori di denunciare le proprie problematiche di salute per paura di perdere il posto di lavoro.