Si è appena chiusa a Bologna l’annuale fiera “Ambiente e lavoro”, e il tema della formazione in salute e sicurezza anche stavolta è stato al centro di molte (troppe) iniziative e discussioni. Bene ha fatto la Consulta interassociativa italiana per la prevenzione (Ciip), con una lettera documentata e circostanziata, a denunciare gli abusi o le vere e proprie illegalità che si perpetrano in questo campo a opera di operatori scorretti e fin troppo tollerati. Nonostante su questo terreno ci siano stati evidenti miglioramenti e avanzamenti delle prescrizioni normative attraverso il Testo Unico (decreto legislativo 81/2008) e i famosi Accordi Stato-Regioni, c’è ancora molto cammino da fare. Non tanto perché le norme non siano chiare, ma perché esiste una diffusa mentalità imprenditoriale (e non solo) che cerca di eludere i costi e gli obblighi che comporta un godimento pieno del diritto stesso da parte delle lavoratrici e dei lavoratori (intendendo come tali anche i dirigenti, i preposti e le altre figure dei servizi aziendali di protezione e prevenzione).

Pensiamo anche alle problematiche tuttora irrisolte (nonostante l’attività legislativa) della formazione in caso di somministrazione di lavoro o di contratti precari, nel caso di lavoratori autonomi che prestino la propria opera in contesti produttivi complessi, o all’ultima previsione del Jobs Act riguardante il non esplicito obbligo di formazione e addestramento alla mansione in caso di demansionamento da parte del datore di lavoro. E perfino al mancato aggiornamento degli Accordi Stato-Regioni riguardante la figura del Responsabile del Servizio prevenzione e protezione (Rspp), che registra ancora nella sua bozza attuale molte critiche da parte imprenditoriale, sindacale e istituzionale.

Eppure assistiamo a un fiorire incredibile di iniziative formative e di corsi di tutti i livelli, e a stanziamenti robusti dal punto di vista economico da parte, ad esempio, dell’Inail. Ma sono molti i problemi che si riscontrano: nei relativamente pochi anni che ci separano dalla novella del corpus normativo si è potuto constatare che si sono sviluppate ampie zone di elusione ed evasione degli obblighi, con il quasi generalizzato ricorso a soluzioni di pura apparenza. Un caso frequentissimo è il rilascio di attestati formativi di comodo a valle di iniziative meramente burocratiche e prive di contenuti utili o realistici, con docenze affidate a formatori non accreditati né accreditabili alla funzione, oppure la vendita di corsi di “formazione a distanza” privi dei requisiti di legge, spesso anche di contenuti non pertinenti, tali da configurare vere fattispecie di truffa ai danni degli utenti e delle aziende italiane.

Una formazione efficace fa diminuire infortuni e malattie professionali. Ma l'esigibilità di questo diritto non è tenuto in debito conto dalle istituzioni

Bisogna dire, per completezza e obiettività, che tali non conformità hanno potuto svilupparsi proprio a causa della mancanza o dell’inadeguatezza dei controlli che hanno consentito il dilagare di situazioni illegali, e della forza lobbistica potentissima di alcune associazioni o aziende. Ovviamente, questa situazione ha agito a scapito della qualità dei corsi stessi, impedendo agli operatori qualificati, non competitivi in termini di tempi, criteri e modalità di erogazione della formazione stessa, di poter essere presenti e apprezzati dal mercato. Inoltre, alcune pratiche difformi dalla normativa come l’acquisizione di crediti formativi attraverso la partecipazione a convegni, anche poco rilevanti e ancor meno partecipati o di buona qualità, sono diventate sempre più frequenti, fino al punto che, in alcune bozze di revisione degli Accordi Stato-Regioni che regolano la materia, tale modalità viene ritenuta accettabile.

La scorsa consiliatura della Commissione consultiva ex art. 6 d.lgs. 81/2008 ha raggiunto un avanzamento importante: si sono infatti sanciti (dopo un percorso durato anni) i requisiti minimi del formatore abilitato a tenere i corsi in oggetto. Proprio durante quel processo assistemmo al tentativo da parte delle piccole imprese di provare a introdurre il principio che in questi contesti la formazione potesse essere erogata direttamente dal datore di lavoro o dal Rspp, senza alcuna esigenza di verifica e certificazione (che ovviamente, penserà qualcuno, non sono garanzie assolute di effettivo svolgimento o di qualità). Questo avrebbe però determinato, a nostro avviso, una ancora più vasta elusione dell’obbligo, anche perché è facile comprendere che i tempi della produzione e le esigenze organizzative avrebbero facilmente sopravanzato una sottovalutata efficacia prevenzionistica delle attività in questione.

Eppure non ci sarebbe bisogno di ribadire che, come gli studi effettuati al riguardo mostrano chiaramente, una corretta ed efficace formazione (generale e specifica) è una delle prime fonti di diminuzione degli infortuni e delle malattie professionali. Ma evidentemente l’esigibilità del diritto e la correttezza di svolgimento della formazione non sono tenute in debito conto neanche dalle istituzioni statali e regionali preposte alla vigilanza, se moltissime denunce a questo riguardo rimangono inascoltate. C’è da dire anche, però, che alcune previsioni della regolamentazione non rendono la sorveglianza e la sanzione conseguente molto facile. Mi riferisco, ad esempio, alla poco regolata ma diffusissima forma della modalità on-line di svolgimento dei corsi, che nelle sue pieghe lascia troppa possibilità di elusione da parte delle aziende.

Ci sembra di poter affermare, in conclusione, che sono opportune e accoglibili tutte le iniziative di finanziamento e di supporto ai processi formativi, ma bisognerebbe mettere in campo qualche sforzo in più per reprimere i diffusissimi comportamenti scorretti, sfruttando poi in maniera forse migliore la possibilità dell’arcifamosa e arcifamigerata “collaborazione” con gli organismi paritetici e gli enti bilaterali. Con quanto appena detto non intendiamo agire una qualche captatio benevolentiæ a favore delle organizzazioni sindacali. Gli organismi paritetici e gli enti bilaterali con competenze in materia di salute e sicurezza sono enti formati dalle associazioni imprenditoriali e sindacali maggiormente rappresentative, che firmano i Ccnl, quindi conoscono bene i contesti produttivi e organizzativi nei quali questa formazione si deve svolgere. La previsione legislativa che assegnava la possibilità alle aziende di potersi avvalere della collaborazione di questi per l’elaborazione dei piani e per il loro svolgimento non era una norma vessatoria (come impropriamente affermato da qualcuno), visto il fatto che non è neanche originaria di sanzione, ma una possibilità di sviluppare iniziative in favore della sbandierata e troppo spesso citata “cultura della sicurezza”.

Crediamo che proprio a questo aspetto dovremmo porre attenzione, in favore di un maggiore sviluppo delle attività di formazione di qualità e aderenti ai bisogni educativi dei settori specifici. È un’esigenza dei lavoratori e delle aziende, è un concreto campo di lavoro fruttuoso. Ed è anche un contributo “bilaterale” e “bipartisan” che sarebbe ora che fosse compreso, sviluppato e implementato, tenendo nel giusto e corretto conto le esigenze di produttività e di competitività generali.

* responsabile Cgil nazionale Salute e sicurezza nei luoghi di lavoro