Nel 2015 la Cgil nazionale ha lanciato la costituzione del Laboratorio delle politiche fiscali, coordinato da Oreste Saccone, per far incontrare territori e categorie con professionisti, intellettuali e accademici che di tali materie si occupano. Lo scopo dell’iniziativa è quello di “mettere alla prova” le proposte della Cgil e incrociarle con il pensiero accademico e tecnico, oltre che con le esperienze di funzionari e delegati che lavorano nelle “stanze del fisco”, in Agenzia delle entrate, in Equitalia, in Sogei, al ministero ecc.

I primi due appuntamenti, a giugno e a ottobre del 2015, si sono incentrati sulla lotta all’evasione e all’elusione fiscale. È dalla sintesi di quelle discussioni che è scaturita l’analisi sullo stato delle cose e una serie di proposte in un piano organico per combattere l’evasione fiscale. In particolare, è emerso dalla discussione che è assai più utile impedire l’evasione piuttosto che reprimere a “malefatta avvenuta”. E che paga di più aumentare la compliance che recuperare l’evasione, specialmente visti i tassi di (non) recupero.

Le proposte Cgil (documento integrale, pdf)
Barbi: una battaglia per l'equità e lo sviluppo 

Nel 2013, in audizione, la Corte dei Conti stimò che gli uffici dell’Agenzia delle entrate avevano emesso ruoli per 807 miliardi di euro nel periodo 2002-2013, e di questi ne erano stati riscossi solo 70; 545 sarebbero teoricamente ancora da riscuotere, ma 107 riguardano soggetti in fallimento e 193 sono oggetto di sgravio totale. Il fatto è che le imposte, una volta evase, sono spesso lunghe e difficili da recuperare, a causa della lunghezza dei tempi della giustizia, delle possibilità di fallimenti (in buona o cattiva fede), dei processi di riscossione dei ruoli.

Le proposte della Cgil non hanno l’ambizione, almeno per ora, di trasformarsi in una campagna, specie in questo momento in cui modello contrattuale unitario e Carta dei diritti catalizzano tutte le forze delle strutture (oltre all’attività ordinaria). Troviamo tuttavia importante che la classe dirigente diffusa di questa organizzazione abbia contezza delle dimensioni del fenomeno: il gap Iva italiano è pari al 33,6%, cioè 47 miliardi. I mancati introiti da evasione sono stimati tra i 90 e i 180 miliardi, a seconda degli studi.

La verità è che l’Italia ha tassi di evasione da paese arretrato, che però si applicano ai volumi di un’economia da paese G7. Il poco invidiabile record mondiale italiano dell’evasione è spiegabile probabilmente con l'alto numero di contribuenti che autocertificano il proprio reddito, che di fatto, almeno nella situazione attuale, non possono che temere dei controlli a posteriori di quanto hanno dichiarato. Nessuno può credere di debellare definitivamente l’evasione, perché semplicemente tale fenomeno è presente in ogni paese. Esisterà sempre una parte di economia informale e, almeno finché non ci sarà una forte volontà politica da parte di tutte le economie più sviluppate, esisterà sempre una più o meno marcata elusione fiscale dei grandi gruppi transnazionali.

Quello che contraddistingue negativamente il nostro paese è tuttavia la massiccia evasione finalizzata all’arricchimento, l’evasione diffusa di chi guadagna 100mila euro e ne dichiara 20mila, e che poi destina queste risorse all’aumento del proprio patrimonio, sommando al danno da mancati introiti per lo Stato lo spostamento di ingenti risorse verso l’accumulo e la rendita improduttivi, con effetti che ricadono anche sul sistema economico. Perché è del tutto ovvio che gli importi sottratti alla lente del fisco non finiscono, come taluni sostengono, tutti in consumi, rientrando quindi all’interno del sistema attraverso le imposte indirette.

Né tanto meno arrivano a ingrossare investimenti, che chiaramente risulterebbero poi ingiustificabili a una verifica. E meno investimenti significa meno produttività, meno lavoro, meno innovazione. Analizzando i dati raccolti nell’ultimo libro di Thomas Piketty, ci accorgiamo di come anche prima della crisi vi sia stato in Italia un colossale spostamento di risorse dalla produzione verso la rendita e una continua e progressiva divaricazione tra l'entità del patrimonio privato, in costante crescita, e quella del patrimonio pubblico in continuo arretramento. Una crisi di entrate, causata in gran parte dall’evasione, come denunciato dalla Corte dei Conti nel 2012, cui lo Stato ha risposto arretrando il proprio perimetro, anziché andando a recuperare le risorse che si disperdevano. E che andavano a ingrossare il patrimonio improduttivo.

Una recente ricerca dell’Agenzia delle entrate ci mette al corrente di una correlazione diretta tra la diffusione dell’evasione fiscale e i reati contro la proprietà, quali furti e rapine, e il motivo andrebbe individuato nel clima di illegalità diffusa che spinge le vittime, specie se i beni sottratti sono frutto di evasione, a non denunciare il torto subìto, alimentando una spirale di minor rischio percepito dai criminali, ulteriore evasione per ricostituire la ricchezza colpita, e addirittura appoggio richiesto alla criminalità più che alle istituzioni per recuperare il maltolto.

Più volte abbiamo avuto modo di mettere in evidenza come il tasso di evasione sia elevato tra rentiers e autonomi, e basso invece tra i redditi fissi. La principale causa di questa disparità è la modalità di dichiarazione, quindi il controllo sulla formazione del reddito che viene dichiarato. Per questo, nel contesto di un’evasione così diffusa e di grandi proporzioni, recuperare l’evasione già consumata serve a poco. Serve invece un abbattimento strutturale dell’evasione, attraverso una serie di provvedimenti di sistema che utilizzino le tecnologie di archiviazione informatica dei dati, e soprattutto il loro incrocio in chiave preventiva, perché la sicurezza dei controlli automatici funga da dissuasore definitivo dell’evasione.

È necessario replicare per gli autodichiaranti un sistema equivalente di quel sostituto d’imposta che impedisce l’evasione dei redditi fissi. È esattamente in quest’ottica che vanno lette le proposte che la Cgil ha raccolto dagli incontri del Laboratorio. Una riflessione su come risolvere, attraverso l’emersione delle basi imponibili, i problemi di equità, di efficienza e di sviluppo.

Equità, perché la sproporzione dei versamenti delle diverse categorie di contribuenti finisce per far gravare solo sui lavoratori dipendenti e sui pensionati (che versano oltre l’80% dell'Irpef) il finanziamento del sistema in maniera non progressiva.

Efficienza, perché l’evasione fiscale è un metodo di “concorrenza sleale” che finisce per premiare l’azienda meno efficiente oltre che meno corretta. Per questo rifiutiamo il concetto di evasione di sopravvivenza e preferiamo parlare di evasione per inefficienza. E non perché non possa capitare che un singolo lavoratore autonomo si trovi a dover scegliere se pagare il mutuo o le imposte, quanto invece perché il nostro sistema produttivo permette/obbliga quel lavoratore a operare in condizioni di scarsa efficienza, quindi scarso reddito. La soluzione per i lavoratori autonomi in difficoltà non è la tolleranza verso la loro evasione, quanto un Piano del lavoro che moltiplichi le opportunità di impiego (dipendente, ma anche free lance) all’interno di una visione che abbia l'innovazione, l’aumento dell’occupazione, la creazione di nuovi mercati nei beni comuni, l’aumento degli investimenti pubblici e privati come stella polare.

Sviluppo, perché, come già accennato, è evidente che le risorse raccolte dall’evasione non sono reinvestite, aumentano parzialmente la domanda – solo per la quota di consumi –, riducono investimenti e sono generalmente ingessate in patrimonio improduttivo, spesso all’estero, spesso bloccate in rendita immobiliare non trasparente, alimentando quel circolo vizioso evasione-patrimonio-rendita (quasi del tutto) in nero, che sottrae risorse al sistema investimento-produzione-redistribuzione.

Gran parte delle difficoltà del passato crediamo siano state superate dallo sviluppo tecnologico, per cui sempre più, per la lotta al sommerso, diventa essenziale la volontà politica di mettere in pratica la sostanziale messa in trasparenza del reddito reale di tutti i contribuenti. Le proposte, dall’invio fatture all'Agenzia delle entrate (ripresa nel memorandum di Padoan del 22 dicembre scorso), all’estensione del reverse charge, anche parziale, il conto corrente dedicato per tutte le partite Iva (con facilitazioni o esenzioni per contribuenti minori), l’obbligo di trasmissione telematica dei corrispettivi giornalieri per commercianti, accompagnato da scontrini che siano anche biglietti di lotteria istantanea, come accade in altri paesi, la tracciabilità dei contatori, dei tassametri o delle applicazioni web, l’attenzione per l’accentramento e il dialogo immediato dei diversi software di archiviazione e incrocio dati e l’abbassamento della soglia massima di contante a 500 euro, sono quindi finalizzate al controllo preventivo dei flussi di reddito, e potrebbero portare a una grande semplificazione anche in fase di dichiarazione, che in questo contesto potrebbe diventare per gran parte dei contribuenti una sorta di limatura di una dichiarazione preventivamente prodotta dall’Agenzia sulla base dei flussi pervenuti e dei movimenti patrimoniali tracciati.

Non solo. Il fatto che l’elusione fiscale esista in tutto il mondo non significa che si possa abbassare la guardia. A prescindere dalla tecnicalità di alcune proposte (ripristino della procedibilità d’ufficio, riorganizzazione della rilevanza penale, maggiore spinta verso gli accordi Ocse e in ambito comunitario), il messaggio è molto semplice: eludere il fisco è evadere. Se in un paese si produce un determinato reddito, in quello stesso paese bisogna pagare le imposte, possibilmente limitando la concorrenza fiscale in ambito Ue e vietando che nel cuore dell’Unione esistano paradisi fiscali di fatto. Eludere il fisco è evadere. Quindi, non può essere la maggior raffinatezza nei modi a distinguere la gravità del fatto, che resta sempre lo stesso. Si dovevano pagare delle imposte, se ne sono pagate in misura inferiore (o nulla).

In tema di repressione, le proposte emerse dal Laboratorio indicano una strada. Una volta effettuato un controllo, per un po’ di tempo quel contribuente deve rimanere sotto la lente dell’Agenzia. Non è possibile dare al contribuente l’impressione che “la tempesta sia passata”. L'Agenzia deve invece far assurgere il reddito individuato dal controllo a benchmark per le successive dichiarazioni, a prescindere dagli studi di settore. Anzi, se possibile deve incrementare la collaborazione e l'assistenza al contribuente in sede delle successive dichiarazioni, controllando, oltre all’imposta evasa, ogni altra imposta che a monte o a valle potrebbe essere stata falsata.

Per quanto riguarda la riscossione, infine, andrebbe ridiscusso con serenità il ruolo di Equitalia, smettendo di porre l’accento solo sui casi abnormi e sugli errori materiali, come fossero il normale modus operandi della società. Se è giusto e necessario, venire incontro al debitore che vuole mettersi in regola, non si può d’altro canto rendere i crediti del riscossore pubblico esigibili con più difficoltà rispetto a un qualunque altro creditore.

Le riflessioni e le proposte in merito alla lotta all’economia sommersa si inseriscono in un dibattito in corso anche nel governo, tra l’attuazione della cosiddetta delega fiscale, la cui revisione delle rendite catastali ha subìto una battuta d’arresto, l’atto di indirizzo del governo presentato a dicembre, l’allentamento sulle soglie di contante e il nuovo regime dei minimi previsti in legge di stabilità, i rumors sull’esenzione dei professionisti dal sistema degli studi di settore. Le 25 proposte della Cgil non sono certo le uniche possibili, e non vogliamo innamorarci di nessuna di esse. È necessaria la volontà politica di intercettare i redditi prima che possano essere evasi, senza strizzare l’occhio a piccoli o grandi evasori per fini elettoralistici. Perché altrimenti, e lo diciamo senza mezzi termini, si mette in atto un nuovo, ennesimo, strisciante attacco ai lavoratori dipendenti e ai pensionati.

Cristian Perniciano, responsabile politiche fiscali della Cgil nazionale