L’occupazione straniera nel settore delle costruzioni smette di crescere. Tra gli operai edili in cassa integrazione, il 33% è costituito da immigrati. Sono alcuni dei danni arrecati ai lavoratori immigrati dalla gravissima crisi che sta attraversando il settore. Dal 2008 al 2012 l’edilizia ha ridotto gli investimenti di circa 30 punti percentuali e si colloca sui livelli di attività più bassi degli ultimi 40 anni. Oltre mezzo milione di posti di lavoro persi complessivamente, tra settore principale e settori collegati.

Sono alcuni dei dati e delle considerazioni che emergono dal VII Rapporto Ires Cgil-Fillea (“I lavoratori stranieri nel settore delle costruzioni”), curato dai ricercatori Emanuele Galossi e Giuliano Ferrucci, e presentato il 19 dicembre all’Assemblea nazionale dei lavoratori stranieri promossa dalla stessa Fillea alla presenza del segretario di categoria Walter Schiavella e, per la Cgil nazionale, della segretaria confederale Vera Lamonica.

La crisi
Il comparto continua a perdere in investimenti, occupazione e imprese, come mai nella sua storia recente. E si registra, evidentemente, una forte flessione del totale dei lavoratori iscritti alle Casse Edili (-19% nel periodo 2008-2011 pari a circa 130.000 iscritti considerando i soli operai) e anche delle ore effettivamente lavorate che nel corso del periodo di riferimento sono calate di circa il 24%.

Gli immigrati
“In questa fase di crisi generale – si legge nel Rapporto - la condizione dei lavoratori stranieri assume dei contorni con sfumature particolarmente incerte e preoccupanti. Già negli scorsi anni abbiamo visto come gli immigrati siano stati i più colpiti da tutti i fenomeni ‘devianti’ che inquinano il settore. La crescita occupazionale della componente straniera nel settore è stata, infatti, caratterizzata da un forte aumento della componente irregolare inclusi i falsi part time e le forme di lavoro autonomo sospette. Inoltre gli stranieri sono maggiormente vittime della dequalificazione professionale, dei differenziali retributivi e degli infortuni”.

Oltre che nell’occupazione la crisi ha colpito duramente anche sulle retribuzioni: nel corso degli ultimi quattro anni la forbice del differenziale retributivo tra italiani e stranieri si è ulteriormente allargata passando dal 4,1% del 2009 al 10,5% del 2012. Ed è proprio nel calo delle retribuzioni (principalmente dovuto al minor numero di giornate lavorate) che, secondo l’indagine, si sono maggiormente concentrati gli effetti della difficile congiuntura. A questi, come già detto in precedenza, si aggiunge il peggioramento delle condizioni di lavoro e l’aumento delle forme di irregolarità.

Lo scenario
Il Rapporto segnala anche l’emergere di una “significativa domanda di crescita, di formazione e di diritti da parte dei lavoratori immigrati, ovvero di quegli ingredienti propri della qualificazione del lavoro (e dunque delle imprese) che a nostro parere sono la leva per la ripresa e lo sviluppo del settore”.

L’Ires e la Fillea denunciano inoltre, come effetto diretto della crisi, il pericolo di un “ripensamento del progetto migratorio. Un effetto davvero destabilizzante – sottolinea il Rapporto - che ci offre scenari ancora incerti e poco studiati: da un lato, infatti, c’è il rischio di perdere forza lavoro (presumibilmente la più formata e qualificata) pronta ad emigrare in altri paesi o a far ritorno nel paese d’origine depauperando il bacino professionale del settore, dall’altro c’è il rischio di costringere una fetta importante delle cosiddette ‘seconde generazioni’ ad abbandonare il proprio percorso formativo per sostenere il reddito dei genitori con lavori ancora più dequalificati e meno pagati, con la possibilità di dare origine a forti tensioni sociali nel prossimo futuro”.

Il bisogno di innovazione
Nel settore delle costruzioni la presenza immigrata è ormai preponderante, ma nella maggior parte dei casi le qualifiche sono ancora molto basse e le condizioni di lavoro assolutamente precarie. “Il settore – ricordano i ricercatori Ires - è stato per troppo tempo lontano da qualsiasi forma di innovazione organizzativa e tecnologica in cui pratiche deleterie, come le aggiudicazioni al massimo ribasso e la forte presenza di lavoro irregolare hanno determinato un complessivo downgrading della concorrenza fino quasi a destrutturare il sistema delle imprese e precipitando la qualità del lavoro. Oggi, vanno considerate le opportunità legate al green building: esiste una domanda crescente di prodotti edili di qualità e sostenibili dal punto di vista ambientale ed energetico, così come esistono aziende italiane che nonostante tutto continuano ad essere leader nei mercati globali pur scontando a caro prezzo il peso della concorrenza sleale. “È importante in tal senso – si legge nel Rapporto Ires-Fillea - evidenziare come la qualificazione delle imprese e la loro possibilità di competere nel mercato globale, passa necessariamente attraverso la qualificazione del lavoro e viceversa”.

La presenza nel settore
Secondo i dati sulle forze di lavoro, i lavoratori immigrati occupati nel settore delle costruzioni risultano essere complessivamente 346.000, con una percentuale pari al 19,2% del totale (vedi gli allegati) Nel 2011 e nel 2012 per la prima volta i dati Istat mostrano un sostanziale arresto della crescita occupazionale straniera (in termini di valore assoluto) nel settore a confermare quanto emerso dalle iscrizioni alla CNCE (la Commissione nazionale paritetica per le casse edili) già a partire dall’inizio della crisi e soprattutto a evidenziare come il biennio appena trascorso sia stato il più difficile per l’intero comparto.

Oltre alla contrazione dell’occupazione è piuttosto significativo anche il ricorso alla cassa integrazione. Nel corso del I semestre del 2012 sul totale dei cassa integrati afferenti il settore delle costruzioni il 33% è di nazionalità straniera. Considerando che il peso complessivo degli immigrati sul totale degli occupati è del 19%, è facile intuire come per i lavoratori stranieri il ricorso alla cassa integrazione sia mediamente più alto che tra gli italiani. “In tal senso – sottolineano i ricercatori Ires -, se da un lato incide presumibilmente l’anzianità lavorativa all’interno delle aziende, dall’altro probabilmente si sconta una debolezza strutturale della manodopera immigrata in fase di contrattazione”.

Per quanto riguarda le professioni è interessante notare come circa il 90% delle professioni esercitate degli stranieri siano “di cantiere” (muratori, carpentieri, piastrellisti, gruisti ecc.) mentre tra gli italiani il dato cala al 60%. Tra gli autoctoni, inoltre, il peso delle professioni tecniche è pari a quasi il 15% del totale rispetto all’1% circa degli stranieri. Rispetto alle professioni “di cantiere” il dato della presenza percentuale dei lavoratori stranieri sul totale è di circa il 25% e si avvicina di molto al dato del 29% registrato dalle iscrizioni alla Cassa edile.

Nelle dinamiche di confronto rispetto agli anni precedenti si registra ancora la tendenza a calare dei dipendenti italiani a fronte della crescita immigrata, nell’ottica del cosiddetto effetto di “sostituzione”. Per quanto concerne il lavoro autonomo c’è una sostanziale tenuta degli autonomi italiani rispetto, invece, a un calo degli immigrati, in virtù di quanto già denunciato negli scorsi anni sul forte aumento dei “falsi” autonomi. Inoltre va notato come il peso del lavoro part time sia sempre più significativo e come questa tendenza riguardi sia gli italiani che gli stranieri. Infine, se il calo occupazionale italiano riduce probabilmente anche la componente informale del lavoro autoctono, nel lavoro immigrato continua ad aumentare tale componente; una informalità, peraltro, che viene confermata anche dalle modalità di accesso al lavoro.

Le retribuzioni
Nel settore delle costruzioni gli stranieri guadagnano in media 133 euro mensili meno dei loro colleghi italiani. Ovviamente in questo dato pesa molto la diversa articolazione tra nativi e immigrati rispetto a professioni e qualifiche. Per evitare questo tipo di problema il Rapporto ha “depurato” dall’effetto “qualifica/professione” il dato del differenziale. In tal senso i ricercatori Ires hanno calcolato la differenza retributiva per categoria professionale. I risultati sono più ponderati: si nota innanzitutto una maggiore differenziazione nelle professionalità più elevate (tra i conduttori e gruisti c’è una differenza di 152 euro tra italiani e non comunitari mensili) e in quelle meno qualificate (tra i manovali la differenza è di 195 euro mensili), mentre nel gruppo più numeroso, ovvero quello degli addetti alle costruzioni, la differenza è di -46 euro per i non UE e di -55 euro per i comunitari (vedi fig. 4). Un altro aspetto importante è che il settore delle Costruzioni è quello che nel corso della crisi ha maggiormente ampliato il differenziale retributivo passando dal 4,1% del I semestre 2009 al 10,5% del I semestre 2012 (vedi fig. 5). In tal senso è un ulteriore indicatore che va a confermare come la componente immigrata sia quella che più degli altri ha pagato la congiuntura negativa.

Le qualifiche
Un ulteriore aspetto particolarmente critico per la componente immigrata del comparto è quello riguardante il riconoscimento delle qualifiche. In q uesto caso il Rapporto rileva come la crescita numerica della presenza straniera (con relativa stabilizzazione all’interno del settore), non sia stata accompagnata da un fenomeno di qualificazione. In particolare l’utilizzo della manodopera straniera si concentra in attività maggiormente dequalificate. Secondo i dati CNCE il 58% degli stranieri nel 2011 ha lavorato come operaio comune rispetto al 29,5% dei lavoratori italiani, inoltre, gli operai specializzati e di IV livello rappresentano l’11,5% della forza lavoro straniera a fronte del 35% degli italiani.

Infortuni
Il settore delle costruzioni è quello col maggior rischio di infortunio; e il dato cresce se ci si riferisce alla platea dei lavoratori immigrati. Inoltre, la percentuale degli infortuni per codice Inail sul totale dei settori tariffari evidenzia che il settore delle Costruzioni è quello in cui è più alta la presenza di infortuni per gli stranieri.

Le interviste
Il Rapporto contiene anche interviste a 100 lavoratori di 19 differenti nazionalità. Le interviste, tutte realizzate vis a vis, sono state condotte attraverso la rete delle strutture Fillea. Il gruppo di intervistati non rappresenta un campione statisticamente rappresentativo ma comunque solido e affidabile per riconoscere le principali tendenze. Per quanto riguarda la crisi, le paure maggiori per i lavoratori stranieri sono quelle di perdere il lavoro o di lavorare in condizioni ulteriormente difficili e pericolose, ma risulta molto significativo anche la quota di chi teme di essere costretto a lavorare in nero e di chi ha paura di diventare ancora più ricattabile. Rispetto agli effetti della crisi sul lavoro la maggior parte degli intervistati ha risposto dicendo che le retribuzioni si sono abbassate (anche a causa delle minori giornate di lavoro) e che le condizioni di lavoro sono peggiorate. Vanno segnalati tra gli altri effetti anche l’aumento del lavoro nero e l’allungamento degli orari di lavoro. Oltre a quelli sul lavoro la crisi ha prodotto, evidentemente, anche dei cambiamenti nella vita dei lavoratori migranti: in primis va segnalata la riduzione dei consumi, ma il dato più interessante da segnalare è che c’è stato un cambiamento nel progetto migratorio. Da un lato si configura l’ipotesi di emigrare verso altre destinazioni oppure di fare ritorno al paese d’origine, dall’altro emerge la difficoltà a garantire l’invio delle rimesse o anche la necessità di far lavorare i familiari che prima non lavoravano (sia i partner che i figli).

Per quanto concerne, invece, la qualificazione lavorativa va innanzitutto segnalato come l’80% degli intervistati siano lavoratori non specializzati di I o II livello nonostante l’anzianità media lavorativa sia di circa 9 anni (il dato percentuale, peraltro, corrisponde alla somma dei lavoratori comuni e qualificati ma non specializzati, registrato dalle iscrizioni alle Casse Edili). Solo il 40% del campione, inoltre, ha avuto una progressione in carriera (in media dopo 4 anni) e oltre il 66% non si sente valorizzato. In tal senso va anche sottolineato il dato relativo alla formazione: oltre il 76% dichiara di avere un’esigenza formativa, ma mentre il 16% viene formato in azienda, gli altri per la maggior parte dicono di “arrangiarsi” da soli o di non avere tempo a disposizione. Inoltre è interessante notare come alla domanda “nel riconoscere il tuo lavoro, quale ritieni che per la tua azienda sia l’elemento prioritario?” solo il 9% abbia risposto “il merito” mentre il 51% ha risposto “la fatica” e il 40% “la disponibilità ad essere flessibile”.

Infine alcuni elementi generali: le valutazioni espresse sulle condizioni di lavoro sono molto negative e in special modo lo sono sul coinvolgimento nelle decisioni aziendali, sulla crescita professionale, sulle condizioni di sicurezza e sulle retribuzioni. In riferimento alle retribuzioni, va inoltre segnalato come oltre il 65% degli intervistati abbia dichiarato di prendere una parte dello stipendio “fuori busta”.