Negli ultimi mesi, alcuni grandi comparti hanno portato a casa buoni rinnovi dei contratti, come quello dei metalmeccanici, degli elettrici e del settore dell'energia. Milioni di altri lavoratori della pubblica amministrazione, della scuola, del commercio e dell'edilizia, invece, sono ancora in attesa. Sarà, in alcuni casi, un percorso complesso, ma che può trovare nel corso del 2017 una svolta decisiva.

Proprio oggi inizia il confronto con il ministero della Funzione pubblica per provare a tradurre coerentemente l'accordo del 30 di novembre che ha sbloccato i contratti. Ora, però, serve un decreto del governo e al momento la situazione risulta un po' complicata. Perché quell'intesa sposta decisamente verso la contrattazione tutto ciò che era stato riservato alla legge, questo significa superare la Brunetta. “È un'altra inversione di marcia rispetto alle politiche che il governo aveva condotto negli ultimi anni quindi dobbiamo tenacemente rivendicare con coerenza l'attuazione di quell'accordo. ” A dirlo, ai microfoni di RadioArticolo1, è Franco Martini, segretario confederale della Cgil.

Poi c'è la questione Terziario - ha continuato -, soprattutto del terziario distributivo che è in grande sofferenza. Perché è su questo settore che si scarica, più che su ogni altro,la crisi della rappresentanza e della rappresentatività da parte datoriale, che rende veramente complicato mantenere la coerenza tra tutti i tavoli negoziali. Ogni nuovo contratto, infatti, si propone di nascere al ribasso rispetto a quelli precedenti, e questo produce un fattore di dumping che non aiuta la qualificazione. C'è quindi ancora molto da fare per chiudere la stagione contrattuale”.

 

È una stagione, questa, in cui si discute molto anche delle regole contrattuali. “Deve esser confermato il ruolo del contratto nazionale - afferma ancora Martini -, senza manomettere l'impianto dei diritti e delle tutele”. Per la Cgil, infatti, il sistema contrattuale deve poggiare su due pilastri: “Il contratto nazionale come strumento di tutela universale, e una contrattazione di secondo livello che si avvicini sempre di più al luogo di lavoro o al territorio”.

È però ovvio che c'è un nesso tra contrattazione, crescita economica del paese e sviluppo produttivo dei sistemi di impresa. “I dati sul Mezzogiorno ne sono la conferma”, secondo il dirigente sindacale, “perché il Sud conosce sempre meno sviluppo e crescita, e quindi soffre di carenza di contrattazione nel luogo più vicino a dove si produce. Ma complessivamente, in tutto il paese, è solo il 20% che fa contrattazione di secondo livello. E di questi, la metà fa accordi nell'azienda e l'altra metà ne fa di altro livello, come ad esempio il territorio. Quindi quattro quinti della platea di chi lavora non può fare a meno del contratto nazionale.”

Martini e la Cgil sono quindi per “l'estensione del secondo livello di contrattazione”, e anche per questo ritegono “che possa essere utile il decreto sulla detassazione dei premi di produttività, se non viene utilizzato come semplice strumento di riduzione del costo del lavoro”, Però, ha concluso il segretario confederale di corso d'Italia “per estendere il secondo livello di contrattazione occorre che le imprese producano, e per far ciò non si può solo intervenire sul fattore del lavoro. C'è un problema di mercato, e di crescita di investimenti. È su questo che dobbiamo continuare a lavorare”.