Si potrebbe pensare: singolari i lavoratori dell’editore Carocci. Nel pieno di una vertenza che potrebbe portarli a perdere il posto di lavoro, producono un blog – caroccinsciopero.wordpress.com – che si apre con un post che spiega, con dettagli ed esempi, tutte le fasi (laboriose, sofisticate, puntuali) che ci vogliono per arrivare a confezionare un libro fatto come si deve. E invece non è così: perché la crisi dello storico editore romano – nato da una costola della Nuova Italia e acquistato nel 2009 dal Mulino che prima di Natale ha presentato un piano industriale che prevede cassa integrazione a zero ore per 17 dei 32 dipendenti, anticamera del licenziamento – è legata indissolubilmente alla crisi dell’editoria, del lavoro di qualità, della professionalità; all’idea che un libro si può fare tagliando i costi, esternalizzando tutto il possibile, senza bisogno di quelle competenze che un bravo redattore s’è costruito nel tempo con studio e dedizione e che dunque vanno riconosciute. È lo stesso approccio che ha causato in questi ultimi mesi le vertenze – pur molto diverse tra di loro – che hanno interessato Rcs, Mondadori, Zanichelli, Laterza e tante altre in un contesto, quello dell’editoria, in cui non si vede un progetto o un’idea complessiva all’orizzonte.

Ma andiamo con ordine. Dopo un accordo siglato nel giugno 2014, che prevedeva una cassa integrazione “morbida” a 10 ore, il 23 dicembre 2014 la proprietà presenta un piano industriale shock, che prevede una cassa integrazione a zero ore per 17 dei 32 dipendenti. La ragione, come al solito, starebbe nei conti, nella perdita di fatturato che però, secondo i sindacati, solo in parte si spiega con il contesto generale di crisi, ma che dipende anche dalla cattiva gestione di questi anni: alla Carocci, per esempio, manca una vera direzione commerciale. Che tutto ciò sia frutto di incapacità gestionale o di un lucido piano di liquidazione dello storico editore romano non è chiaro.

“Resta il fatto che non ci hanno presentato nessun piano di rilancio serio, come ci si aspetterebbe da una casa editrice di questo prestigio – dice Fabio Scurpa, segretario generale della Slc Cgil di Roma Nord e Civitavecchia –. Per i lavoratori solo idee fumose, la proposta di costituirsi in cooperativa per continuare a svolgere il proprio lavoro. Si tratta, evidentemente, di una esternalizzazione senza però nessuna garanzia per il personale. È chiaro che noi non firmeremo nessun accordo per la cassa integrazione senza conoscere il destino di ciascuno degli addetti interessati”. Nell’incontro che si è svolto in Regione venerdì 8 gennaio l’azienda ha rifiutato le proposte alternative dei sindacati: cioè l’attivazione di contratti di solidarietà che darebbero tempo e respiro per un piano serio di riorganizzazione e rilancio.

La volontà di esternalizzazione della casa madre è testimoniata anche dal fatto che l’Edifin, l’holding che controlla Mulino e Carrocci, ha in programma in parallelo il licenziamento e la riassunzione di 14 dipendenti del Mulino di Bologna, in Edimil, una newco che dovrebbe lavorare per lo stesso marchio bolognese. “Con la differenza sostanziale – sottolinea Scurpa – che in questo caso la società è controllata dal Mulino e ciò comporta dunque garanzie molto maggiori per i lavoratori”.

La vertenza ha fatto naturalmente scalpore, anche perché c’è di mezzo Il Mulino, che è qualcosa in più di un semplice editore. Nei corridoi di Strada Maggiore, a Bologna, negli anni è sfilato e si è formato il nerbo migliore della cultura progressiva del dopoguerra. Tra i soci dell’Associazione Il Mulino, da cui dipende la casa editrice, si contano personalità come Romano Prodi, Chiara Saraceno, Ilvo Diamanti, Ernesto Galli della Loggia, Ignazio Visco eccetera eccetera. L’ultimo dei pionieri del Mulino, il politologo Luigi Pedrazzi, che oggi ha 87 anni, ha avuto parole di fuoco per un’operazione condotta a esser buoni in maniera assai disinvolta: “È stato vergognoso mollare così la Carocci”, ha dichiarato Pedrazzi in un’intervista a Repubblica, trasformando una “complessa vicenda aziendale in una violenta polemica”. In parte, alcuni dissensi sono emersi nel corso dell’assemblea dei soci del Mulino che si è svolta sabato 10 gennaio. Nel comunicato finale si punta l’attenzione sulla necessità di salvaguardare la qualità del lavoro e di trovare una soluzione per i destini dei lavoratori Carocci. Di fatto, però, il piano industriale va avanti. Il prossimo incontro in Regione è previsto per il 21 gennaio, ma già domani (11 gennaio) i sindacati vedranno la proprietà per provare a trovare un accordo.

Nel frattempo i lavoratori vivono l’assoluta incertezza del proprio destino. “Siamo uniti e proseguiamo con lo sciopero a oltranza – racconta un lavoratore che ci chiede di rimanere anonimo –. Dal piano presentato non si riesce a capire, oltre al nostro futuro, come potrà andare avanti la casa editrice senza redattori di qualità, formati in anni e anni di esperienza, quali quelli che lavorano in Carocci. Abbiamo collane raffinatissime, specializzate, che richiedono un approccio di altissima professionalità. Si può affidare tutto questo a un service esterno? Crediamo proprio di no”.  Alla fine, insomma, si ritorna al punto di partenza: all’idea che nell’editoria, come in tanti nostri importanti settori dell’economia del nostro paese, si possa fare a meno della qualità, esternalizzando e precarizzando con il mantra dei conti sempre all’orizzonte. Ma certo così non si fa molta strada e non è neanche detto che, alla fine, i conti poi tornino.