Nel libro primo del Capitale Karl Marx dedica il tredicesimo capitolo alla fabbrica e alle macchine. In esso egli sostiene che è l’insieme dei lavoratori (quello che chiama il “corpo lavorativo sociale”) che nei secoli ha definito e permesso la realizzazione del processo di produzione. Solo le abilità degli operai, infatti, possono far funzionare le macchine, renderle produttive e quindi dirigerle. Ma, d’altro canto, le macchine sono espressione del potere dei proprietari delle fabbriche e assumono il ruolo di soggetto principale della produzione. I lavoratori devono diventare servitori delle macchine e di conseguenza meri ingranaggi del moderno sistema della produzione. Per dirla con le parole di Marx: “Nella manifattura e nella bottega artigiana, l’operaio si serve dello strumento; nella fabbrica, serve la macchina. Là il movimento del mezzo di lavoro parte da lui; qui, egli deve seguirne il movimento” . 

Lo sviluppo della fabbrica moderna è proseguito, per oltre 100 anni dopo la scrittura del Capitale, proprio come Marx aveva indicato. Ai primi del Novecento, ad esempio, si ha  l’avvento, ad opera dell’'ng. Frederick W. Taylor, dello Scientific Management: una teoria organizzativa che si basava sull’acquisizione di tutte le competenze dei lavoratori e sulla creazione di una burocrazia tecnica in grado di dirigere, riprogettando, a prescindere dai soggetti, i tempi e i metodi di lavoro in modo di raggiungere livelli di produttività impensabili in precedenza . Subito dopo Henry Ford metteva in pratica questa filosofia, creando la catena di montaggio: un meccanismo di produzione standardizzato che per funzionare richiedeva lavoratori senza nessuna abilità e li rendeva alienati . Ma funzionava: negli stabilimenti automobilistici di Highland Park, nel 1920, un’auto veniva prodotta in soli 90 minuti. Solo tre anni prima erano necessarie 20 ore di lavoro .

L'attenzione delle imprese, il benessere dei lavoratori 
Oggi la situazione del lavoro è profondamente cambiata. Spostata ad Oriente la necessità di fabbricare beni industriali, l’Occidente si è concentrato sulla produzione di servizi – spesso immateriali – nati con l’avvento dell’economia della conoscenza, che impone di creare valore sui desideri e le pulsioni di una popolazione che invecchia e che, tutto sommato, cerca quasi esclusivamente l’effimero, avendo già l’indispensabile e buona parte del superfluo. Le organizzazioni sono attraversate da fermenti nuovi, che fanno emergere pulsioni contraddittorie: da una parte vi è, per i manager pressati dai proprietari, la necessità di concentrarsi sulla redditività del capitale. Solo che questo non si può più ottenere semplicemente aumentando la velocità della catena di montaggio, come avveniva per l’operaio Charlie Chaplin in Tempi Moderni. Bisogna invece  intensificare la valorizzazione delle competenze – esplicite ed implicite – delle risorse umane. Ma questo, a differenza che in passato, può avvenire soltanto in modo soft, favorendo l’estrazione delle conoscenza individuali tramite l’immersione delle persone nella cultura aziendale. Ne deriva la necessità di negoziare con i dipendenti i modelli di riferimento culturali che descrivono l’impresa; ma ciò facendo si introduce, tramite i processi di feedback, il seme della modifica dell’organizzazione stessa.  L’acculturazione non è mai a senso unico, come ben sanno i docenti di scuola. Né può essere imposta. Da questo discende, in fin dei conti, la crescente attenzione delle imprese per il benessere dei membri dell’organizzazione. 

Conciliare i tempi di vita e lavoro
Il tema della conciliazione dei tempi di vita e di lavoro è sempre più attuale nella nostra società: gli schemi di utilizzo del tempo delle persone si individualizzano e ciò comporta la necessità di negoziare continuamente la propria presenza  in una molteplicità di microcosmi sociali diversi. La necessità di mettere a punto sistemi di conciliazione dei tempi di vita e di lavoro è dettata anzitutto dall’esigenza di rendere compatibile la vita lavorativa e quella personale. Le tecnologie della comunicazione, di cui non possiamo più fare a meno, trasformano il tempo di lavoro, che diviene sempre più invadente e confuso con il tempo della vita. Conciliare i tempi, in tale contesto, diviene un esercizio difficile: bisogna trovare un difficile equilibrio tra i diversi ambiti, di vita e di lavoro, pubblici e privati . E questo vale, fatti salvi i paradossi del sex-typing che portano le donne a sobbarcarsi i due terzi dei lavori di cura, per entrambi i generi. L’organizzazione del lavoro e i criteri di gestione delle risorse umane  delle imprese diventano così  fattori determinanti nel penalizzare o, al contrario, favorire la messa in equilibrio tra tempi di vita e di lavoro, che a loro volta incidono sul benessere psico-fisico delle persone, oltre che sulle pari opportunità di carriera.  

Per questo il concetto di benessere organizzativo, inteso come modo di lavorare e vivere in azienda senza necessariamente dover snaturare il proprio essere, ha assunto tanta importanza anche in Italia. Bisogna evitare che il lavoro violenti il tempo di non lavoro e, viceversa, che le preoccupazioni della vita privata rendano il contributo delle lavoratrici e dei lavoratori inconsistente per il benessere dell’impresa.  Un’organizzazione efficiente, che cerca l’eccellenza, l’innovazione e il profitto duraturo non può affidarsi a metodi globalizzanti di gestione delle risorse umane. Ed è bene che entrambe le parti, azienda e rappresentanza dei lavoratori, operino insieme per creare un ambiente che garantisca il benessere delle persone e, al contempo, la prosperità dell’azienda. Il lavoratore perfetto ma estraniato dal contesto sociale, come il Winston Smith, impiegato al ministero della Verità con il compito di falsificare il passato, raccontato da Orwell nel libro 1984 è disfunzionale per l’organizzazione. Il futuro, ne abbiamo avuto prova più volte, è delle aziende che perseguono lo sviluppo di forme di responsabilità verso le lavoratrici e i lavoratori e, di conseguenza, verso se stesse. Per questo il benessere organizzativo è diventato uno snodo fondamentale della capacità delle organizzazioni di rappresentanza di contrattare il lavoro, le sue condizioni, ma anche la determinanti della partecipazione umana al mondo della produzione.

Il 6 ottobre un convegno a Palermo
Al tema della conciliazione sarà dedicato il convegno che si terrà martedì 6 ottobre a Palermo, organizzato dal progetto
Well@Work: negoziare il benessere in azienda, finanziato dal ministero del Lavoro nell’ambito del Fondo sociale europeo. Il progetto, che si è svolto con l’adesione sia delle associazioni datoriali siciliane (Confindustria, Confcommercio e Confesercenti) che delle organizzazioni sindacali dell’isola (Cgil, Cisl e Uil della Sicilia), ha coinvolto novanta  rappresentanti ed operatori delle parti sociali ai quali sono state fornite  conoscenze di eccellenza in materia di Telelavoro e Smart Work, sistemi di Banca del tempo e delle ore, metodi di riduzione dello stress lavoro-correlato.  I risultati ottenuti sono stati condensati in un volume, che verrà presentato in occasione del convegno.

BIbliografia
- Marx, K., Il Capitale, Libro Primo, Capitolo 13, UTET, Milano, 2013
- Taylor F.W., Direzione d'officina, Edizioni di Comunità, Milano, 1952
- Noble D.,  Progettare l’America, Einaudi, Torino 1987.
- Arnold, H.L., Faurote, F.L., Ford Methods and the Ford Shops, Engineering magazine Company, 1915 (disponibile all’indirizzohttps://archive.org/details/fordmethodsandf00faurgoog)