Prima di Bruno Pizzul, Giampiero Galeazzi, Nando Martellini e delle voci dei narratori di calcio in Rai, Mediaset e Sky c’era un signore chiamato da tutti “Quasi Gol” (o “Quasi rete” nella versione autarchica). Chi è, o meglio chi era? Si chiamava Nicolò Carosio ed era un cronista delle dirette radio e tv calcistiche. Sempre in giacca e cravatta, un bel paio di baffi, un cappello Borsalino calcato sulla testa dai pochi capelli. Aveva una bella voce calma e suadente che si accendeva allorché, raccontando della nazionale italiana, le sorti degli azzurri andavano verso la gloria; oppure, la stessa voce, diventava mesta, carica di cordoglio, in occasione delle sconfitte o dei pareggi o comunque delle occasioni mancate. Era nato a Palermo nel 1907 e morì nel 1984 a 77 anni. Cominciò a fare cronache nel 1933 a Bologna per Italia- Germania, una classica. “Classico” divenne anche Nicolò, verso il quale si era creato, presso gli appassionati, un culto che è durato a lungo e che i meno giovani sportivi ricordano ancora se non altro per il modo trascinante con cui seguiva le partite. Il suo nazionalismo affettuoso, troppo (fino al punto di definire qualsiasi tiro verso la porta avversaria degli azzurri “quasi gol”), fece scuola e ha lasciato molte tracce e molti imitatori. Perché ne parliamo? Per ricordare un episodio storico dimenticato che tuttavia è finito nelle enciclopedie della televisione, un episodio che accelerò e concluse la sua carriera.

Erano i Mondiali del 1970, in Messico. Era in corso la partita Italia-Israele e il risultato era in bilico. Ad un certo punto un guardalinee di colore segnalò un fuorigioco che scatenò l’ultranazionalista Nicolò, il quale infilò nel microfono una domanda avvelenata e inquieta, una protesta a sfumatura razzista; questa: “Ma cosa vuole l’etiope?”; sottointeso: “Ma come si permette questo inferiore?”. Dietro la domanda c’era l’Italia che era stata imperiale – nel 1936, dopo le conquiste africane, Mussolini aveva proclamato l’Impero – e che aveva uno strano rapporto con i popoli di colore, come vedremo più avanti. La domanda, considerata una “gaffe” dal sen fuggita, provocò una reazione forte. Carosio detto “Quasi Gol” fu sospeso dalle cronache degli incontri della nazionale italiana e nel 1971 lasciò la Rai. La sua ultima telecronaca fu quella di una partita del Milan in una coppa europea.

Ci sono due considerazioni da fare. La prima riguarda quella che ho appena definito “coloritura razzista” della battuta sul guardalinee. L’altra ha invece a che fare con la situazione in Rai negli anni sessanta e settanta. Per quanto riguarda la “coloritura razzista” venuta alle labbra di Carosio come un riflesso incontrollato, bisogna ricordare che il nostro era un uomo degli anni trenta. L’Italia era un paese colonialista in Libia, Somalia, Eritrea ed Etiopia. Lo era dai primi del Novecento quando il fascismo non era salito ancora al potere.

Ma l’esplosione di tripudio per le colonie venne con prepotenza fuori sull’onda di Tripoli bel suol d’amore e sui volontari che andarono a combattere in Africa per assicurare terre al Belpaese, l’Italia; tra questi c’era Indro Montanelli, giovane ufficiale, entusiasta dell’avventura africana. All’epoca radio e cinegiornali decantavano le imprese dei nostri militari (poi si è saputo dell’uso dei gas e di altre atrocità commesse spesso anche sulle popolazioni inermi). Film come Luciano Serra pilota, con Amedeo Nazzari, esaltavano le imprese eroiche compiute contro orde di selvaggi, assetati di sangue, da battere e da rieducare. Cartoline dai fronti raggiungevano gli amici dei combattenti in Italia. Erano tutte di belle e giovani ragazze con i seni scoperti, in varie pose: il bottino dei vincitori. Accadeva persino che Montanelli, come scrive lui stesso in un libro, comprasse dal padre per sposarla una di queste ragazze. Infine, il varietà e la rivista proponevano balletti in cui le soubrettine si truccavano e facevano la parodia delle avvenenti ragazze di cui sopra; c’erano frequenti scenette comiche dedicate ai cannibali e agli africani descritti con la sveglia al collo. Il nero veniva chiamato negro. (A questo punto devo citare, me ne scuso, il mio Viziati 3 poiché una delle dieci puntate, dal titolo “Bianco e nero, e a colori”, documenta come la tv abbia lungo la sua storia anche più recente giocato con la parodia, proponendo stereotipi e convenzionalismi razzisti o molto vicini al razzismo).

Passiamo ora alla seconda questione, quella che riguarda la situazione della tv in quel periodo. In Italia, negli anni settanta, gli strascichi del passato erano ancora presenti sul piccolo schermo, come frutto di abitudini di arretratezza mentale e di razzismo automatico, persino involontario, lasciati in tracce diverse da una vecchia cultura al tramonto. Erano gli anni della cosiddetta tv pedagogica e la reazione alla battutaccia di Carosio fu un segno pubblico sulle intenzioni di mettere fine anche ai riflessi condizionati, ovvero alla superficialità e alla leggerezza. Fu un provvedimento clamoroso che si mescolò a un processo di correzione peraltro avviato con il centrosinistra all’inizio degli anni sessanta e soprattutto con l’attenzione verso il Terzo Mondo, africano e non, spinta dalla contestazione studentesca del 1968. Carosio andò a casa. Trentotto anni fa. Quella voce si è spenta e l’episodio è entrato nei libri come fatto significativo, come fatto “punito”, con il suo protagonista, affinché non si ripetesse. Trentotto anni fa. Ma negli stadi a volte (vedi il caso degli insulti a Balotelli e ad altri atleti di colore) il tempo non sembra essere trascorso.