Alle porte dell'estate, la Lucchini e i suoi operai sembrano vedere la luce in fondo al tunnel. Un tunnel molto lungo e che parte da molto lontano. L'azienda del cavalier Luigi Lucchini è stata il primo proprietario privato delle acciaierie piombinesi, rilevandole a inizio anni '90 dopo la dismissione dell'Italsider; il passaggio non fu facile e tra il 1992-1993 ci furono scioperi, occupazioni e lunghe contrattazioni, che alla fine portarono al reintegro di tutti gli operai, con contratti di solidarietà e pensionamenti anticipati.

Da allora gli stabilimenti tornarono ad essere produttivi e a dare lavoro e benessere economico alla città, almeno fino al 2003: con la scadenza di un bond da 800 milioni che la famiglia Lucchini non poteva pagare, si passò alla gestione di un commissario nominato dalle banche, Enrico Bondi, che preparò un piano di ristrutturazione: in pratica una vendita a spezzatino del Gruppo.

Ma Lucchini riuscì a trovare un partner nella Severstal di Alexey Mordashov e per alcuni anni la nuova gestione sembrò funzionare, con una buona produttività e bilanci positivi.

Nel 2008, però, i venti di crisi spinsero Mordashov a ritirarsi, lasciando il polo siderurgico in mano alle banche, con un buco di 770 milioni. Pur cedendo pezzi pregiati del gruppo, come la controllata francese Ascometal, l'azienda non riuscì a risollevarsi. Così dal 2008 fino alla fine del 2012 la Lucchini bruciò 800 milioni di cassa, azzerando il proprio patrimonio e finendo nel 2012 per avviare le procedure previste dalla legge Marzano: il governo nominò commissario straordinario Piero Nardi, con l'incarico di salvaguardare i creditori e di trovare un compratore.

Arriviamo così ai fatti più recenti, con un primo tentativo di vendita tra il giugno e il luglio 2013, che vede andare deserto il bando. A marzo 2014 viene avviata una nuova procedura e stavolta si presentano nove aziende; una sola, la giordana SMC dell'imprenditore Khaled Al Habahbeh, prevede la conservazione dell’altoforno, in attesa di realizzare due forni elettrici e un Corex, usando i fondi europei per le nuove tecnologie. La proposta è interessante e i sindacati fanno di tutto per mantenere acceso l'altoforno in attesa dell'offerta vincolante. Ma il piano di investimenti di 1,5 miliardi per la parte industriale e altrettanti per interventi immobiliari nelle aree da liberare si rivela poco credibile e l'offerta ha gravi carenze per le garanzie finanziarie; lo stesso Habahbeh si rivelerà poi un personaggio misterioso. Il tira e molla con SMC continua fino a maggio, quando l'azienda sparisce nel nulla. L'altoforno si ferma e poche sembrano ormai le possibilità di salvare gli impianti.

Ma altri si fanno avanti: tra i più accreditati c'è l'indiana Jindal, che prevede solo l'acquisto di tre laminatoi e l'impegno verbale di un forno elettrico. Non è una proposta allettante, ma è l'unica rimasta e pur se bocciata due volte, sembra scontato che alla fine si aggiudicherà la gara.

Almeno fino all'arrivo di Cevital di Issad Rebrab: l'offerta algerina prevede grossi finanziamenti, con il ritorno ad una competitiva produzione di acciaio, l'ammodernamento degli impianti, le bonifiche e lo sviluppo di un'area per l'agroalimentare e una di logistica, in sinergia con il porto. Mancano però le garanzie occupazionali e Cevital durante l'anno tarda a presentare un piano industriale chiaro e organico, destando non pochi sospetti e facendo temere il peggio. Nel corso della primavera si ventila anche la riaccensione dell'altoforno, ipotesi per molti impraticabile, per ovviare alla scadenza di contratti di solidarietà e cassa integrazione. Ma ciò che più preoccupa i sindacati sono i circa 400 operai lasciati fuori dal progetto Cevital e la natura dei contratti, che vedono azzerati molte garanzie e una busta paga molto ridotta.

Inizia così un duro faccia a faccia tra azienda e sindacati, entrambi fermi sulle proprie posizioni, che vede di settimana in settimana le due parti avvicinarsi e trovare punti di contatto, anche solo parziali. Piccoli passi che dopo l'estenuante settimana di incontri hanno portato all'accordo e ai presupposti per la firma definitiva di inizio giugno.