In Sardegna si muore più che nel resto d’Italia e la colpa è dello scadimento del sistema sanitario. Lo certifica il Centro ricerche economiche Nord Sud delle università di Cagliari e Sassari (Crenos) raffrontando i dati degli ultimi anni e precisando che non si tratta di morti per Covid. Nel 2020 l’aumento è del 13 per cento rispetto al quinquennio 2015-2019 (nel Mezzogiorno si registra un +7,7) ma soltanto il 35 per cento è legato al Covid, la quota più bassa a livello nazionale.

In piazza per il diritto alla salute

Dopo la mobilitazione confederale unitaria dello scorso 22 ottobre, che aveva rilanciato dalla piazza di Cagliari l’urgenza di ripristinare il diritto alla salute e alle cure, il 15 giugno la Fp Cgil insieme alla Uil Fpl e ad altri sindacati e associazioni di settore si sono dati appuntamento sotto l’assessorato regionale alla Sanità. “La pazienza è finita”, slogan della manifestazione, dà la misura di un sentimento ormai consolidato. “Abbiamo avuto due riforme in dieci anni e nessuna delle due è stata portata a compimento, la disorganizzazione è totale, chiediamo una netta inversione di tendenza, investimenti e interventi di sistema”, ha detto la segretaria regionale della Fp Cgil Roberta Gessa ricordando “i turni estenuanti a cui sono costretti medici e infermieri per la carenza di organici, le liste d’attesa infinite, il sistema dell'emergenza-urgenza che non funziona e i pronto soccorso oberati”.

La spesa cresce, i servizi crollano

C’è sicuramente un prima e un dopo pandemia anche nella sanità della Sardegna, come in tutta Italia. E c’è anche la giunta sardista-leghista del governatore Christian Solinas a guidare l’isola nell’ultimo quadriennio. Se il sistema sanitario regionale si distingueva in negativo per più di una falla, ora quella falla è diventata una voragine. E ha risucchiato tutto, piccoli e grandi ospedali, eccellenze come strutture ordinarie. Il comune denominatore è l’incapacità dell’isola di recuperare i già carenti livelli pre-pandemia nel raffronto con le altre regioni. Nello stesso tempo, la spesa sanitaria pro-capite continua a crescere ed è passata da 2.175 euro nel 2020 a 2.265 euro nel 2021. La sanità assorbe il 42 per cento del bilancio della Regione e l’anno scorso ha raggiunto tre miliardi e 779 milioni di euro, il 5 per cento in più del 2021.

Eppure, nel 2022 l’incremento dei morti sfiora il 22 per cento e non ha eguali in altre regioni, stacca di 10 punti il dato del Mezzogiorno e di oltre 11 la media nazionale. Ancora una volta il Covid c’entra poco, il 31 per cento. Cosa sta succedendo? Il Crenos esclude che la causa sia l’invecchiamento della popolazione. Oltretutto, il rapporto Istat sul Benessere equo e sostenibile in Italia (Bes), certifica che nell’isola dei centenari la speranza di vita ormai è mediamente più bassa che nel resto del Paese e l’età della buona salute si ferma a 58 anni. Per i ricercatori delle università di Cagliari e Sassari in Sardegna si muore di più soprattutto per “una minore disponibilità del Servizio sanitario in termini di strutture, personale e prestazioni”.

Il fallimento della politica regionale

“Siamo davanti al fallimento della politica regionale sulla sanità e sulla gestione delle aziende sanitarie”, ha detto il segretario generale della Cgil Sardegna Fausto Durante sottolineando che “il 15 giugno a Cagliari e il 24 a Roma la Cgil sarà in piazza per rivendicare un servizio sanitario nazionale pubblico e universale, per rilanciare investimenti e assunzioni, per bloccare la spinta alla privatizzazione: è l’unica strada possibile per riaffermare il diritto alla salute e alle cure anche in Sardegna, regione in cui c’è particolarmente bisogno di aprire una pagina nuova, per la sanità e non solo”.

Strutture depotenziate da Nord a Sud

Negli ultimi anni le strutture territoriali sono state depotenziate e i grandi ospedali, nel Nord e Sud della Sardegna, non riescono ad assorbire il flusso di pazienti costretti a migrare in cerca di un pronto soccorso, un posto letto, un intervento chirurgico. Al reparto di Traumatologia del Sirai di Carbonia, nel Sulcis Iglesiente, i femori rotti aspettano anche dieci giorni prima di essere ricomposti. Gli anestesisti sono pochi e corrono a tamponare le urgenze da un reparto all’altro. Anzi, da un ospedale all’altro. La Asl del territorio ha nove anestesisti, un numero inferiore a quello necessario a garantire i turni nell’unica Rianimazione rimasta, quella del Sirai. C’è anche al Cto di Iglesias ma non funziona perché, appunto, mancano i medici. Per la stessa ragione a Carbonia sta chiudendo la neurologia e a breve andrà in stand by anche l’urologia, almeno tre mesi per consentire al personale di andare in ferie. E i pazienti?

Chi può permetterselo tenta la sorte e si fa portare a Cagliari, in cerca di un trattamento e tempi di attesa più accettabili. Succede al Sud come al Nord Sardegna, dove presìdi territoriali come Ozieri o Alghero sono ormai sguarniti di reparti e personale e non resta che mettersi in viaggio verso Sassari per trovare una risposta che non sempre arriva. Perché i grandi ospedali, come il Brotzu a Cagliari o l’Aou di Sassari, sono in overbooking: i pazienti sono sempre di più e per i posti letto spesso ci si aggiusta in corsia, i medici specializzati sono più che altrove ma largamente non sufficienti a dare risposte alla mole di lavoro che arriva dalle periferie.

Non va meglio al San Francesco di Nuoro, nel centro Sardegna, dove la nomina del primario di cardiologia è un evento da celebrare a mezzo conferenza stampa: fa notizia perché manca da un anno. E la fa anche l’inaugurazione del reparto di chirurgia d’urgenza, che poi sarebbe anche una buona notizia, non fosse che per farlo funzionare arriveranno medici in prestito da Sassari. Come se lì fossero in eccedenza. Il problema è solo rimandato visto che dalle aree interne i medici fuggono: non sono incentivati né hanno alcun vincolo di restare almeno un tot di anni. Così si continua a tamponare le emergenze, ad esempio con i professionisti a gettone, in servizio per mille euro a turno.

La fuga nel privato

È il fallimento di una riforma sanitaria che avrebbe dovuto mutuare anche nell’isola il modello Hub & Spoke, con i centri di eccellenza e poi quelli periferici: invece, manca totalmente la rete territoriale che, al contrario, è stata via via indebolita. E mancano tanti medici specializzati, oltre che infermieri. Il sistema pubblico ha smesso di essere attrattivo, turni estenuanti e stipendi non sempre all’altezza delle responsabilità favoriscono la fuga nel privato, che da tempo fa casting fra i migliori professionisti degli ospedali pubblici, e riesce ad accaparrarseli.

Il Mater Olbia, l’ospedale privato e convenzionato frutto della partnership fra Qatar Foundation Endowment e Policlinico Gemelli Irccs, è una fucina di talenti. Per il resto, la sanità gallurese è all’anno zero, declassati gli ospedali di Tempio e La Maddalena e depotenziato quello di Olbia, nei pronto soccorso non ci sono più medici urgentisti e si va verso l’affidamento del servizio a cooperative e operatori esterni che, però, non sono specializzati. Il risultato? Sempre lo stesso, i codici rossi si riversano sui grandi ospedali del sassarese.

Il laboratorio per esternalizzare il pronto soccorso è stato Ghilarza, nell’oristanese, dove già da due anni quel servizio è in appalto a soggetti privati con costi alti e risultati non proprio soddisfacenti. La vicina San Gavino, nel Medio Campidano, aspetta la costruzione dell’ospedale da tredici anni e l’unico attivo, il Nostra Signora di Bonaria, soffre come tutte le strutture periferiche, organici all’osso e mobilità passiva alle stelle.

Un sardo su 5 rinuncia a curarsi

Nel frattempo, un sardo su cinque ha rinunciato a curarsi, il risultato peggiore d’Italia secondo i dati Crenos e Istat Bes riferiti al 2021. Fra le motivazioni, le lunghissime liste d’attesa. C’era da aspettarsi una terapia d’urto, invece la Regione non è riuscita a spendere i nove milioni di euro messi a disposizione dallo Stato per abbatterle. Secondo il rapporto della Corte dei Conti elaborato su dati aggiornati ad aprile, la Sardegna si classifica penultima fra tutte le regioni e fa peggio della media del Mezzogiorno.

In questo quadro, in risposta alle proteste per la sospensione della radioterapia dell’ospedale oncologico di Cagliari, con i pazienti invitati a rivolgersi ad altre strutture nel territorio nazionale, l’assessore regionale alla Sanità ha detto che la sostituzione dei vecchi macchinari è un grande regalo per i sardi. Soltanto che per cinque mesi, tre su quattro radioterapie non saranno operative e lo stop è stato disposto da un giorno all’altro, senza programmare soluzioni transitorie, senza alcun paracadute per chi deve curare patologie che non possono aspettare. Ora, in risposta al disastro acclarato della Sanità in Sardegna, c’è da chiedersi se alle prossime imminenti elezioni regionali non saranno i sardi a fare un grande regalo a questo assessore, a questa giunta, a questa maggioranza.