“Spero che sia il caldo”. Così il segretario generale della Cgil Maurizio Landini commenta oggi (mercoledì 21 luglio) in un’intervista alla Stampa la proposta di Confindustria di vietare l'ingresso in azienda ai non vaccinati e di sospenderli dallo stipendio: “Una forzatura. In questo anno di pandemia i lavoratori sono sempre andati in fabbrica in sicurezza. Rispettando i protocolli e le norme di distanziamento. Non sono le aziende che devono stabilire chi entra e chi esce. Una scelta di questo tipo la può compiere solo il governo”.

La proposta confindustriale del “green pass obbligatorio” era contenuta in una mail interna e doveva rimanere riservata, ma ieri è stata rivelata dal quotidiano Il Tempo. “I lavoratori – aggiunge il leader sindacale – sono stati i primi a chiedere sicurezza, arrivando addirittura allo sciopero per ottenerla. Io mi sono vaccinato e sono perché tutti si vaccinino. Ma i lavoratori sono cittadini, e hanno i diritti e i doveri di tutti i cittadini. Confindustria, piuttosto, si preoccupi di far rispettare l’accordo contro i licenziamenti”.

Ed è proprio l’ondata in corso di licenziamenti, scattati dal 1° luglio, a preoccupare Landini. “L'accordo è stato realizzato dopo che i partiti della maggioranza di governo, tutti i partiti della maggioranza, avevano detto sì allo sblocco lasciando solo qualche eccezione di settore. Siamo riusciti a impegnare governo e associazioni imprenditoriali a ricorrere prima agli ammortizzatori sociali”, spiega il segretario generale, evidenziando che ora “stiamo chiedendo di far applicare quell'accordo ad alcune multinazionali che ragionano con una logica da Far West. Siamo di fronte ad aziende che chiudono lo stabilimento italiano e proseguono la produzione altrove. In alcuni casi rifiutandosi, com'è accaduto nei giorni scorsi, di discutere con il governo e le istituzioni”.

Per Landini questi sono atteggiamenti che “vanno contro le istituzioni italiane, cui spetta il compito di tutelare il lavoro e il nostro tessuto produttivo. Serve una politica industriale che promuova investimenti in Italia e che faccia tornare qui il lavoro precedentemente delocalizzato”. Il segretario Cgil rimarca che oggi è in corso “una trasformazione profonda del nostro sistema industriale ed economico. Ci sono nuovi prodotti per un nuovo modo di vivere. Ad esempio: gli autobus elettrici, i treni a idrogeno, dovremo comperarli all'estero o potremo produrli noi e venderli anche agli altri Paesi?”.

È il momento, dunque, di intervenire. Il primo passaggio va compiuto subito, prima della fine di luglio. “Il governo ci convochi presto al tavolo con le imprese per fare applicare l'accordo contro i licenziamenti. Ma il vero punto è come governare la riconversione produttiva che cambierà il Paese nei prossimi 5-10 anni”, argomenta il leader Cgil: “Ci sarà una riconversione in senso ambientale. Sarà profonda e avrà bisogno di un confronto preventivo tra aziende e sindacati sulle scelte strategiche in un quadro di nuove politiche industriali pubbliche”. Una “codeterminazione”, così la chiama Landini, con aziende e sindacati che “si impegnano a consultarsi prima sulle scelte strategiche e a difendere insieme il lavoro e l'occupazione. Una scelta di riconoscimento reciproco”.

La codeterminazione potrebbe dunque “essere una strada utile, un modo per investire sulla partecipazione e sul lavoro di qualità”. Ed è comunque una possibilità, non un obbligo: “Nella codeterminazione non c'è l'obbligo a fare gli accordi, altrimenti non sarebbe una trattativa sindacale ma un arbitrato. È una scelta, quella di investire nella partecipazione negoziata delle lavoratrici e dei lavoratori”. Una scelta, conclude il segretario generale della Cgil Maurizio Landini, che “spinge il nostro sistema economico verso una pari dignità tra lavoro e impresa puntando sulla contrattazione. Un passo importante”.