Il 2 dicembre 1968 ad Avola, in provincia di Siracusa, una manifestazione a sostegno della lotta dei braccianti per il rinnovo del contratto di lavoro finisce nel sangue: la polizia apre il fuoco e due lavoratori - Giuseppe Scibilia, di 47 anni, e Angelo Sigona, di 25 - vengono uccisi. Quarantotto saranno i feriti, due gravi.

“Quel maledetto 2 dicembre 1968 - racconterà Angelo Minnino, bracciante, testimone della strage - mi trovavo infreddolito come tutti gli altri compagni, per la notte passata a presidiare le barricate sulla strada. La polizia già nei giorni passati si era dimostrata assai agguerrita, le cariche si ripetevano e noi rispondevamo con il lancio di pietre. Ad un tratto i fucili che prima sparavano in aria furono puntati ad altezza d’uomo. La vista delle fiammate che fuoriuscivano dalle canne dei fucili spianati, a prima vista non ci intimorì, già altre volte la polizia ci aveva sparato addosso a salve. Quando i compagni che ci stavano accanto cominciarono a cadere in terra colpiti, il panico ci prese tutti. Ci fu qualcuno che tentò una reazione rabbiosa, ma la violenza della polizia non si arrestava. Alla fine due di noi Angelo Sigona e Giuseppe Scibilia furono uccisi, e tanti altri compagni rimasero feriti”.

Mauro de Mauro scriveva sulle colonne de l'Espresso

Fa freddo. La statale 115 è in parte gelata. Ma dà un senso di gelo maggiore il doversi occupare ancora, dopo venticinque anni di lotte sindacali, di braccianti caduti sotto le raffiche della polizia. Stavano scioperando per difendere diritti e interessi elementari. (…) Tutto cominciò dieci giorni fa, quando i braccianti agricoli aderenti alle tre maggiori organizzazioni sindacali (Cgil, Cisl e Uil) decisero d’intraprendere una grande azione unitaria. Si trattava di ottenere un aumento del 10 per cento sulle paghe, ma soprattutto il riconoscimento di un elementare diritto fino ad oggi negato: la parità di trattamento salariale tra addetti a uno stesso lavoro in due zone diverse di una stessa provincia. Questo infatti è un paese in cui si può ancora morire battendosi non per equiparare i salari di Avola a quelli di Milano, ma per ottenere che il bracciante di Avola abbia un salario non inferiore a quello del bracciante di Lentini. Perché la provincia di Siracusa è divisa in due zone: la zona A, che comprende i braccianti di Lentini, Carlentini e Francoforte, in cui la paga giornaliera è di 3480 lire; e la zona B, con Siracusa e i restanti comuni della provincia, in cui la paga è di 3110 lire. Tutto questo, nonostante che la provincia di Siracusa sia una tra le più floride della Sicilia. Florida cioè per i proprietari terrieri, che da ogni ettaro di agrumeto riescono a trarre annualmente un reddito netto che varia tra le 600 e le 800 mila lire. In realtà, il reddito medio pro capite in provincia di Siracusa è tra i più bassi d’Italia. E se la media statistica crolla a questi valori da mondo sottosviluppato, è per le condizioni di vita del bracciantato locale. Per questo già due anni fa ci furono rivendicazioni e proteste, e a Lentini una serie di gravissimi incidenti con poliziotti e carabinieri. Anche allora si trattava di un’azione sindacale originata dal rinnovo del contratto di lavoro. Ma allora c’erano stati dei feriti. Oggi si piangono i morti. (…) Adesso, alle undici di sera, Avola sembra un paese di fantasmi. Dalle due del pomeriggio la vita si è fermata, i negozi hanno abbassato le saracinesche in segno di protesta e di lutto, le due sale cinematografiche hanno chiuso. Una folla immobile e muta indugia sulla piazza principale dove poco fa il sindacalista Agosta ha tenuto un comizio a nome della Federazione dei braccianti. In giro non si vede neppure una divisa. È come se l’intero paese stesse aspettando di riprender contatto con una realtà che tuttora appare incredibile.

“La tragedia di Avola - commentava su l’Unità Emanuele Macaluso - dove ancora una volta si è sparso sangue dei lavoratori, non è solo un fatto siciliano. Con questo attacco, proditorio e meditato, le forze reazionarie nazionali hanno voluto montare una grossa provocazione poliziesca e politica nel tentativo di bloccare il grande movimento di lavoratori, di studenti, di popolo in corso da diverse settimane in tutto il Paese. Questo movimento non si fermerà. Respingerà ogni provocazione e andrà avanti, unitariamente e combattivamente (…). Da più settimane la grande stampa padronale conduce una campagna contro le rivendicazioni dei lavoratori, contro la richiesta di un reale ampliamento della vita democratica nelle fabbriche, nelle campagne, nelle scuole, invita perentoriamente i dirigenti del centrosinistra a stringere i tempi della crisi, a 'mettere ordine nel Paese'. E noi sappiamo cos’è per certe forze l’ordine. Lo abbiamo visto in altre occasioni, anche in momenti di crisi politica, nel 1960 per esempio, e lo vediamo oggi, ad Avola. Non è certo difficile quindi individuare le forze che hanno spinto e hanno dato gli ordini per arrivare alla strage, perché di una vera strage si tratta”.

Tuonava a caldo Luciano Lama: “Io credo che all’atto della formazione di un nuovo governo, che parla di Statuto dei diritti dei lavoratori e costituisce addirittura apposite commissioni tripartite per esaminarli, due cose vadano stabilite preliminarmente: il disarmo della polizia nel servizio di ordine pubblico e la concessione a tutti i cittadini di piena libertà di sciopero. Altrimenti parlare di Statuto dei diritti dei lavoratori diventa una presa in giro”. Per quelli che sono passati alla storia come ‘i fatti di Avola’ non c’è mai stato un processo, non è mai stato individuato un colpevole. Eppure qualcuno è Stato.