Dalla primavera del 2001 la crisi delle relazioni industriali è facilitata dall’involuzione politica, dovuta alla nuova affermazione del centrodestra di Silvio Berlusconi. Nel 2002 giunge a compimento l’offensiva di governo e Confindustria contro l’articolo 18 dello Statuto dei lavoratori, che stabilisce il diritto al reintegro sul posto di lavoro in caso di licenziamento senza giusta causa. Dopo il quindicesimo congresso di Rimini tenuto a febbraio, il 23 marzo la Cgil organizza la più grande manifestazione della storia italiana, con tre milioni di partecipanti al Circo Massimo di Roma “contro il terrorismo – il 19 marzo le Nuove Brigate Rosse hanno assassinato Marco Biagi – e per i diritti”.

Il 23 marzo sarà l’inizio di un’intensa mobilitazione, proseguita anche dalla nuova segreteria di Guglielmo Epifani, subentrato a Cofferati nel settembre 2002, e destinata a concludersi con la sconfitta del governo sull’articolo 18. Secondo la questura a Roma quel giorno ci sono 700.000 persone. “Quando potranno vedere le nostre fotografie dagli elicotteri allora saremo pronti a fare congiuntamente le stime. Così vedremo chi ha le valutazioni più giuste e chi il metro corto. In piazza c’erano almeno tre milioni di persone, mai viste così tante dal dopoguerra a oggi” è la risposta della Cgil che scrive sul proprio sito internet: ‘Tu no, noi tre milioni’.

In piazza ci sono tutte le organizzazioni territoriali e di categoria della Cgil, dai chimici ai metalmeccanici, dagli edili alla funzione pubblica, i professori delle università, i ricercatori precari, i medici, gli infermieri, i lavoratori dei trasporti e del commercio. Ci sono i pensionati dello Spi e tantissimi giovani, padri, madri, nonni e figli, una miscela inaspettata che fa ripensare ogni schema politico. “Non si può pensare di dare ai giovani dei diritti universali – dirà quel giorno dal palco un Sergio Cofferati, evidentemente commosso – e nel contempo accettare l’idea di toglierli ai padri”.

“Non ci piace una scuola che diventi fabbrica di piccoli ingranaggi della macchina del lavoro; non ci piace una fabbrica che diventi luogo dell’umiliazione per l’impiegata che respinge le avances del capo o per l’operaio che chiede sicurezza (siamo il Paese dei 1.400 morti sul lavoro all’anno); non ci piace che un lavoratore, una lavoratrice siano venduti come merci al mercato; non ci piace che un giovane per avere un posto di lavoro debba rinunciare alla pensione. Questi sono gli effetti delle deleghe chieste dal governo sulla scuola, sul mercato del lavoro, sull’articolo 18, sulla previdenza. Per questo noi saremo con la Cgil il 23 marzo insieme con i lavoratori che vogliono dignità, i professori che vogliono conoscenza e cultura, i giovani che vogliono un mondo di pace”, diranno Franca Rame e Dario Fo.

E con la Cgil quel giorno ci saranno politici, intellettuali, attori, registi, uomini e donne del mondo della cultura e dello spettacolo. Ci sono Bertinotti, Fassino, D’Alema, Di Pietro, Salvi, Turco, Pecoraro Scanio, Rosy Bindi con l’adesivo dei girotondisti. Spunta Nanni Moretti. Ci sono Sabrina Ferilli, Massimo Ghini, Ottavia Piccolo, Lucrezia Lante della Rovere, Nicola Piovani, Paolo Hendel, Staino e Vauro. 

Eppure qualcosa si muove nel paese – scriverà Bruno Trentin sul suo diario, ancora inedito –. Forse una svolta nella ribellione di una società civile contro l’estraneità della politica. Sabato 23 marzo la manifestazione voluta dalla sola Cgil (…) è stata davvero un momento di svolta (…) Un tappo è saltato e questo non potrà non influire sul destino prossimo della sinistra”.

ARCHIVIO
Il comizio integrale di Cofferati
Per i diritti, la giornata del 23 marzo, Davide Orecchio