Scrivo per raccontare una storia privata perché in quanto cittadino mi sento responsabile di far di tutto perché i diritti che la Costituzione individua come fondamentali siano tali per tutti i cittadini e cittadine del Paese. Ho 60 anni, da tre anni assisto mia moglie colpita dalla SLA, una malattia che, oltre a consumare chi ne è affetto, assorbe tutte le energie fisiche, mentali ed economiche della famiglia che se ne prende cura. Noi viviamo a Roma e le risorse che il SSN e la Regione Lazio ci hanno messo a disposizione, pur tra complicazioni e inceppamenti burocratici, sono, direi, più che adeguate.

Abbiamo accesso a medicinali, apparecchiature costose e copertura medica, infermieristica e assistenziale adeguata a supportare al meglio mia moglie Beatrice e tutta la famiglia nel difficilissimo compito di gestire questa malattia. Aver constatato sulla mia pelle di vivere in una comunità che è in grado di prendersi cura dei suoi cittadini più fragili mi ha reso sinceramente felice e orgoglioso. Fino a quando non ho cominciato a notare che questo non accade allo stesso modo su tutto il territorio nazionale. Tra i tanti casi ho letto di un signore di Firenze che si è visto costretto a scrivere a quotidiani nazionali per ottenere un servizio di fisioterapia a domicilio che per noi è invece di facile accesso.

Ancora, in un ospedale romano dove siamo stati per delle terapie fortemente invasive, ho conosciuto una famiglia di Terni, quindi di nuovo una regione diversa dalla nostra, che, esattamente nelle nostre stesse condizioni, non sembra avere diritto neanche ad una minima frazione dei servizi ai quali noi abbiamo accesso.

Sdegno è il sentimento che mi ha invaso per aver scoperto di vivere, in realtà, in una nazione che non è in grado di assicurare eguale accesso a tutti i suoi cittadini al diritto fondamentale alla salute. Sono  indignato di fronte alla scoperta che, se non dolo, quantomeno c’è stata in questi anni una negligenza colpevole nell’azione politica e legislativa per impedire che un diritto così importante e universale come la salute sia negato ad un cittadino solo perché, per sorte, vive nel posto sbagliato. E non oso nemmeno immaginare cosa potrebbe succedere se venisse approvata l’autonomia differenziata.

Mi sono chiesto cosa posso fare per cambiare lo stato delle cose: candidarmi alle prossime elezioni? Costituire una associazione che promuova la eguale distribuzione territoriale delle risorse nella sanità? Forse. Ma ora sono troppo impegnato a stare vicino a mia moglie e alla mia famiglia per poter soltanto pensarlo.

Eppure se è vero che il patto che unisce noi cittadini, la nostra Costituzione, ci impone di esserne attori e custodi, non posso non agire in qualche modo. Spero che anche questo mio piccolo sfogo possa contribuire, anche in misura minima, a correggere almeno una delle insopportabili disuguaglianze che siamo riusciti a far crescere in questi ultimi anni nel nostro paese.