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A gennaio di quest’anno è stato presentato un disegno di legge, che viene discusso oggi alla Camera, il cosiddetto ddl Sicurezza, sul quale la Cgil ha già espresso parere negativo. Il sindacato ne ha chiesto il ritiro anche in sede di audizione presso la commissione Affari costituzionali, poiché si muove esclusivamente in direzione dell’aumento delle fattispecie di reati, dell’inasprimento delle pene, con una logica esclusivamente punitiva, securitaria, di propaganda e populismo penale, che è l’opposto di quanto imporrebbe la Costituzione sul senso e sul significato delle pene.
Il governo del “buttate via le chiavi”
Ma questo è il governo del “buttate via le chiavi” e del “marcite in carcere”. Il ddl contiene, fra le altre cose, anche una previsione che peggiora notevolmente le condizioni delle donne detenute con figli a carico. Una volta approvato, infatti, verrebbe reso facoltativo il rinvio della pena per le donne madri di figli fino a un anno di età, e per le donne in stato di gravidanza, consentendo, per la prima volta, l’ingresso in carcere alle donne incinte.
Peggioramento del codice Rocco
Oggi la normativa vigente prevede in queste situazioni il rinvio obbligatorio della pena detentiva: la norma arriva a peggiorare persino il codice Rocco. E non avrà alcun effetto deterrente, ma contribuirà al già pesantissimo affollamento delle carceri, alla presenza di minori in istituti dove non dovrebbero stare. Con una chiara matrice di stampo etnico e razzista, viste le dichiarazioni di autorevoli esponenti del governo che non hanno esitato ad affermare che così finalmente si andranno a colpire le donne Rom “abili borseggiatrici che si fanno mettere incinta solo per evitare il carcere e continuare la loro attività”.
La norma non deve passare
A fronte di questo, oltre 100 esponenti e organizzazioni della società civile hanno lanciato un appello, raccolto anche da parlamentari dell’opposizione, affinché la norma non passi. L’appello rilancia i contenuti della campagna “Madri fuori, dallo stigma e dal carcere, insieme ai loro bambini”, lanciato due anni fa da Società della Ragione, cui la nostra organizzazione ha partecipato e contribuito, e che ci ha visto mobilitarci in varie occasioni, come l’8 marzo o la festa della mamma, per promuovere i diritti delle madri in carcere e dei loro bambini.
I bambini in carcere non devono stare: come abbiamo sostenuto, anche con iniziative pubbliche, è necessario superare le sezioni nido e gli istituti a custodia attenuata, gli Icam, che sempre carceri sono, e istituire finalmente le case famiglia, già previste per legge e mai realizzate perché non sono state finanziate. Oggi ne esistono soltanto due, una a Milano e una a Roma.
Genitorialità in carcere
Nella scorsa legislatura era stata presentata una proposta di legge, primo firmatario l’onorevole Paolo Siani, ripresa in questa legislatura dalla deputata Debora Serracchiani, che però è stata ritirata vista la mole di emendamenti, tutti peggiorativi, presentati dalla maggioranza.
Il carcere non è un luogo dove i bambini possono stare, dove possono vivere un’infanzia serena, dove le madri possano avere una genitorialità compiuta e serena. E non si può pensare di separare i neonati dalle madri, come ci ricorda la Corte europea dei diritti dell’uomo. Tanto più, viste le condizioni strutturali degli istituti, le condizioni in cui versa l’assistenza sanitaria, non sono luoghi dove le donne possono partorire serene e sicure.
È possibile aderire all’appello inviando una mail a: info@societadellaragione.it