Il terribile assassinio dell’avvocata romana Martina Scialdone, le modalità e le circostanze ancora non del tutto chiarite, hanno sollevato un serie di preoccupanti riflessioni circa la facilità con cui si possa uccidere una persona, una sera a cena.

La lite violenta e palesemente al di sopra dell’accettabile avvenuta in un ristorante affollato, in mezzo a tante persone, che non hanno saputo o voluto intervenire, poi lo sparo a freddo appena fuori, sul marciapiede di una strada non isolata, davanti a testimoni che probabilmente non si sono neanche resi conto di ciò che stava accadendo.

Un evento terribile e assurdo a partire dalla facilità con cui un individuo che oggi molti descrivono come violento e irrazionale avesse un regolare porto d’armi per uso sportivo, fino alla sottovalutazione dei tanti che hanno assistito alla lite culminata nell’assassinio.

Oggi si delineano responsabilità gravi e certe legate alla facilità con cui si ottiene un regolare porto d’armi – apprendiamo poi che il governo Conte 1, quello con la Lega, ha anche allargato le maglie per la detenzione di armi a uso sportivo come nel caso dell’assassino di Martina -, e forse anche quelle di chi avrebbe potuto fare qualcosa ma non lo ha fatto.

In questo scenario, oggi è montata forte la polemica per una frase pronunciata da Maria Monteleone, magistrata romana che si occupa da anni di casi di violenze su donne e minori, che ha invitato le donne a non accettare l’ultimo incontro con l’ex. Qualcun*, più d’un* a dire il vero, vi ha letto una attribuzione di responsabilità nei confronti della vittima. Ma non è buon senso evitare di attraversare la strada al buio di notte e cercare piuttosto un passaggio illuminato?

Monteleone e come lei le tante e i tanti che sempre esortano le donne a “fare attenzione”, non colpevolizzano le vittime né deresponsabilizzano gli assassini. Semplicemente invitano a riconoscere i soggetti violenti e a star loro lontani. L’assassino di Martina, stando alle testimonianze di vicini e colleghi, era un violento. Certo, quando ci sono di mezzo i sentimenti, l’amore, l’affetto, la frequentazione è difficile rendersi conto del superamento del limite ma sarebbe bene che soprattutto noi donne imparassimo a non confondere l’amore col possesso, la comprensione coll’esporsi a danni fisici e psicologici.

Perché anche se non si finisce ammazzate, ci si può trovare manipolate, strette in relazioni tossiche, in condizioni di grave disagio per sé e per i propri figli. L’altra faccia del patriarcato è il modello di donna comprensiva, accudente, che perdona e si fa carico delle colpe. Monteleone, in buona sostanza, dice che il principe azzurro non esiste e le donne non devono essere crocerossine, che esistono tanti principi e cavalieri più o meno buoni, bravi ed equilibrati ma anche e che quando un uomo supera il limite del rispetto fisico o anche psichico, le donne farebbero bene a tenersene alla larga, a denunciare e soprattutto ad andarsene senza remore, il più lontano e velocemente possibile.

Ecco, forse più che l’invito di una magistrata servirebbe introdurre nelle scuole corsi di educazione all’affettività che a ribaltassero il modello relazionale patriarcale tossico e pericoloso.  

Esmeralda Rizzi, Ufficio Politiche di genere Cgil Nazionale

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