Spesso insoddisfatti della propria vita, con scarsa fiducia nelle istituzioni e poco partecipativi alla dimensione collettiva ma senza perdere la speranza per il proprio futuro. Questa è la fotografia scattata dal rapporto “Giovani protagonisti di futuro” di Ipsos e Arci sui giovani del nostro Paese e le loro aspettative per il futuro, presentato il 24 settembre al Cnel.

Insoddisfatti e privi di certezze, ma non si arrendono

Secondo i dati del rapporto, un giovane su tre non è soddisfatto della propria salute mentale. Un disagio che manifestano soprattutto le donne: una su quattro dichiara di essere infelice. E il 65% ritiene che la propria vita sia distante da quella che aveva immaginato e che desidererebbe. Gli aspetti che generano maggiore insoddisfazione sono, primo su tutti, la situazione economica. A seguire la sfera sessuale e quella sentimentale, poi la salute mentale. Maggiore soddisfazione invece per le relazioni familiari e amicali e per i propri hobby e il tempo libero. A pesare, dunque, è soprattutto l’assenza di certezze. Non a caso, il disagio è più diffuso proprio tra chi non lavora e non studia: il 59% di loro fatica a immaginare il proprio futuro. Ma, nonostante l’insoddisfazione, prevale l’ottimismo per il futuro: la maggior parte di loro è fiducioso che riuscirà ad avere una vita soddisfacente, soprattutto al di fuori dell’ambito lavorativo.

La sfera personale prevale su quella collettiva: si fatica a sentirsi parte

Dal punto di vista valoriale, i giovani mettono al primo posto aspetti della sfera personale come la ricerca di un equilibrio psicofisico, le relazioni familiari e la rete di amicizie, oltre che la realizzazione personale. Al contrario, vengono collocati all’ultimo posto valori della sfera collettiva, come la democrazia e la partecipazione alla vita sociale e politica, ma anche la pace, il clima e il rispetto delle diversità. La maggioranza dei giovani non discute di politica, non partecipa alle manifestazioni di piazza e non esprime le proprie opinioni sull’attualità. Il maggiore disinteresse arriva proprio da chi non studia e non lavora che fatica a sentirsi parte.

La fiducia nelle istituzioni è significativamente bassa. Ad ottenere la sufficienza sono unicamente la scuola e l’università. La maggiore sfiducia va alla religione e alla politica.

Tornare a sentirsi parte. Ma come?

Tornare ad essere felici, tornare a sentirsi parte. Come riuscirci? Il primo passo è quello di decostruire gli stereotipi, secondo Camilla Piredda, responsabile politiche giovanili della Cgil. “Bisogna smettere di considerare i giovani come un agglomerato unico di individui con gli stessi bisogni, le stesse condizioni, gli stessi desideri, le stesse difficoltà. E smettere, soprattutto, di considerarli altro dal resto. Non continuiamo a rinchiudere i giovani in spazi ghettizzanti fingendo di dare loro ascolto: oggi serve un continuo scambio intergenerazionale in grado di costruire percorsi. Solo così possiamo combattere quel senso di individualismo al quale le nuove generazioni sono state educate, a partire proprio dal mondo del lavoro.”

“Solo grazie ad una lotta collettiva possiamo dare loro la possibilità di restare, di sentirsi parte e di costruire il futuro che desiderano”, ribadisce la segretaria confederale Lara Ghiglione. “Usciamo dall’idea che i giovani siano scansafatiche e nullafacenti: il fatto che negli ultimi due anni la Cgil abbia avuto un incremento dell’11% tra i suoi iscritti under 35 significa che oggi le nuove generazioni sentono il bisogno di sentirsi rappresentate nel mondo del lavoro. E noi non possiamo ignorarlo. Così come non possiamo ignorare la grande partecipazione dei giovani nelle piazze di queste settimane per fermare il genocidio a Gaza. Dimostra che i giovani hanno un grande desiderio di scrivere un futuro diverso, di costruire un modello di società e di mondo in cui i più fragili non siano schiacciati, in cui le scelte politiche siano orientate alla pace, alla non violenza e alla giustizia. Una necessità che deve trovare corpo non solo nell’imporre lo stop al genocidio del popolo palestinese, ma anche nello stop al riarmo e all’economia di guerra. La prossima legge di bilancio dovrà essere determinante in questo senso, la direzione che noi indichiamo è: meno soldi sulle armi, più risorse sui giovani e sul loro futuro”.