Il 12 marzo del 2013 muore - ultima donna rimasta in vita fra le 21 che avevano partecipato alla stesura della Costituzione - Teresa Mattei, partigiana, nome di battaglia Chicchi, femminista, politica, pedagogista e madre costituente, la più giovane, appena venticinquenne.

“Chicchi - scrive Giancarla Codrignani ne L’Enciclopedia delle donne - era stata una “dura”: educata all’antifascismo, già al Liceo si fece conoscere per aver protestato contro l’insegnante che aveva elogiato le leggi razziali. Ancora adolescente, andò a Nizza per portare a casa Rosselli un contributo degli amici fiorentini. A Mantova, dove si era recata per incontrare don Mazzolari, venne arrestata: in cella, a contatto con le prostitute, scoprì la piaga sociale che Lina Merlin avrebbe affrontato nel nuovo Parlamento. “Ardita come un uomo”, divenne insieme comunista e partigiana. Ardita come una donna, dopo la morte del fratello (suicida in carcere per non tradire sotto tortura), a Perugia fu imprigionata dai nazisti e subì le violenze che i guerrieri impongono alle donne”.

Il 2 giugno del 1946 viene eletta alla Assemblea costituente. “Noi salutiamo - diceva in un appassionato e bellissimo intervento in Aula - (…) con speranza e con fiducia la figura di donna che nasce dalla solenne carta costituzionale nazionale. Nasce e viene finalmente riconosciuta nella sua nuova dignità, nella conquista pienezza dei suoi diritti, questa figura di donna italiana finalmente cittadina della nostra Repubblica. Ancora poche Costituzioni nel mondo riconoscono così esplicitamente alla donna la raggiunta affermazione dei suoi pieni diritti. Le donne italiane lo sanno e sono fiere di questo passo sulla via dell’emancipazione e insieme dell’intero progresso civile e sociale. È, questa conquista, il risultato di una lunga e faticosa lotta di interi decenni. (…) In una società che da lungo tempo ormai ha imposto alla donna la parità dei doveri, che non le ha risparmiato nessuna durezza nella lotta per il pane, nella lotta per la vita e per il lavoro, in una società che ha fatto conoscere alla donna tutti quei pesi di responsabili e di sofferenza prima riservati normalmente solo agli uomini, che non ha risparmiato alla donna nemmeno l’atroce prova della guerra guerreggiata nella sua casa, contro i suoi stessi piccoli e l’ha spinta a partecipare non più inerme alla lotta, salutiamo finalmente con un riconoscimento meritato e giusto l’affermazione della completa parità dei nostri diritti. (…) La nostra esigenza di entrare nella vita nazionale, di entrare in ogni campo di attività che sia fattivo di bene per il nostro paese, non è l’esigenza di affermare la nostra personalità e qui contrapponendola alla personalità maschile. (…) Noi non vogliamo che le nostre donne si mascolinizzino, non vogliamo che le donne italiane aspirino ad una assurda identità con l’uomo; vogliamo semplicemente che esse abbiano la possibilità di espandere le proprie forze, tutte le loro energie, tutta la loro volontà di bene nella ricostruzione democratica del nostro Paese. Perciò riteniamo che il concetto informatore della lotta che abbiamo condotta debba stare alla base della nostra nuova Costituzione, rafforzarla, darle un orientamento sempre più sicuro. È nostro convincimento che nessuno sviluppo democratico, nessun progresso sostanziale si produce nella vita di un popolo se esso non sia accompagnato da una piena emancipazione femminile”.

“Signorina, lei vuole ammettere le donne alla magistratura! Ma sa che in certi giorni del mese le donne non ragionano?”. “No, ma so che molti uomini come lei non ragionano tutti i giorni del mese”, sarà una delle sue affermazioni più note.

Il dissenso verso lo stalinismo di Togliatti e del gruppo dirigente le procurerà nel 1955 la radiazione dal Pci, ma nonostante l’amarezza per quella decisione, Teresa, pur scomparendo dall’ufficialità della scena politica italiana, continuerà negli anni il suo impegno sul piano sociale.

“Nell’inverno del 1947 - si legge ancora ne L’Enciclopedia delle donne - era rimasta incinta dalla relazione con un uomo sposato e Togliatti aveva deciso che l’impudente doveva abortire (e non fu la sola donna a cui impose quella scelta). Teresa reagì: “Le ragazze madri in Parlamento non sono rappresentate, dunque le rappresento io”. La situazione fu poi regolarizzata all’estero con un espediente, ma Teresa non perdonò”. La “maledetta anarchica” (come la chiamava Togliatti) lotterà sempre.

Fino alla fine. Dal primo giorno fino all’ultimo dei suoi 92 anni, al fianco dei partigiani dell’Anpi e poi degli ex deportati dell’Aned. Ottantenne è al G8 di Genova. A lei dobbiamo, tra le altre cose, l’articolo 3 della nostra Costituzione.

“Le donne - diceva nel 2006 in una bellissima intervista - hanno, rispetto agli uomini, un atteggiamento e un modo di agire differente. Hanno una mentalità che definirei 'orizzontale', guardano quello che le circonda e si rimboccano le maniche per fare. Gli uomini guardano al potere e questo li porta ad avere un atteggiamento verticistico. Le donne, invece, preferiscono la conoscenza, il sapere; non vogliono comandare, ma condividere le scelte e i progetti. Vogliono costruire un mondo migliore per i loro figli, per i futuri cittadini. Per questo dovrebbero essere di più in Parlamento. Per questo dovrebbero essere ascoltate maggiormente e con più attenzione”. Come darle torto anche oggi, soprattutto oggi?