Le insistenti voci di una prossima fusione tra Fca e Renault escono dal terreno di gioco delle agenzie di stampa e cominciano a prendere non solo forma, ma anche sostanza. L’unione strategica, commerciale e tecnologica tra i due gruppi industriali produrrebbe inevitabilmente ripercussioni sui competitors e s'inserirebbe dentro a quel solco strategico di progressiva integrazione verso cui il mercato dell’auto tende ormai da anni. I dati OpenCorporation su fonte Orbis (Bvd) mostrano come il mondo dell’auto, a oggi, sia dominato da dieci gruppi industriali, con in testa la tedesca Volkswagen dopo il sorpasso nel 2017 ai danni di Toyota. Il gruppo Fca, in questa classifica, si colloca in sesta posizione, con un fatturato di oltre 110 miliardi di euro (2018) mentre Renault è al dodicesimo posto con un fatturato di 59 miliardi di euro. Fca produce 4,8 milioni di veicoli a fronte dei 3,9 milioni di Renault: una loro potenziale fusione collocherebbe il nuovo player internazionale in terza posizione anche come volumi prodotti (8,7 milioni complessivamente nel 2018) immediatamente dopo i due leader globali dell’auto, Volkswagen e Toyota.

Tra le top ten dell’auto, cinque hanno sede legale nell’Unione europea, due negli Stati Uniti e tre in Asia (di cui due in Giappone). Complessivamente le prime dieci case automobilistiche hanno prodotto nel 2018 oltre 63 milioni di veicoli, di cui il 40,4% da player con sede legale in Europa, 37,1% in Asia e 22,5% negli Stati Uniti. È di interesse osservare come a fronte di un peso di volumi produttivi di circa il 40%, i player europei registrino un peso del 50% in termini di fatturato e di circa il 60% (se si considera il 2017 come anno di riferimento per una maggior copertura dei dati) in termini di dipendenti. Relativamente alla capitalizzazione di mercato, ovvero al valore azionario dei diversi gruppi, sono invece soprattutto i produttori asiatici a mostrare un rapporto superiore rispetto al volume prodotto. Al 2018, Fca segnala un volume occupazionale di circa 198 mila dipendenti a livello mondiale, registrando una frenata rilevante rispetto al 2017 a causa della cessione di Magneti Marelli. A poca distanza la insegue Renault con circa 183 mila dipendenti. 


fonte OpenCorporation su dati Orbis (Bvd) – Quelli in rosso derivano da fonti e stime esterne a Bvd

Rispetto alle prospettive occupazionali è difficile fare previsioni e le cautele sindacali appaiono giustificate. Nonostante le rassicurazioni di Fca, la configurazione societaria ipotizzabile come risultante dalla proposta di fusione al 50% con Renault sarebbe sicuramente espressione di un posizionamento eurocentrico, ma non necessariamente italocentrico. La quota di Exor, finanziaria della famiglia Agnelli, continuerà a detenere una quota prevalente, ipoteticamente al 14,5% rispetto al 29% attuali (il 42,11% attuali del gruppo Fca in termini di diritto di voto), mentre lo Stato francese, azionista oggi al 15% (il 28% in termini di diritti di voto) di Renault scenderebbe in linea teorica al 7-8%. Nell’inevitabile processo di riorganizzazione a fronte di possibili sovrapposizioni produttive – verosimilmente sul mercato europeo delle utilitarie – il posizionamento francese sarebbe rappresentato, e tutelato, anche dallo Stato, in qualità di azionista. Ad oggi, invece, lo Stato italiano non pare aver assunto, e nemmeno espresso, una posizione univoca su un possibile ruolo diretto o indiretto nello scenario post-fusione. L’assenza in Italia di una strategia pubblica di politica industriale e una maggior dipendenza tecnologica e di ricerca e sviluppo di Fca, soprattutto nell’elettrico, sono fattori che sembrerebbero non giocare a favore degli stabilimenti italiani.

Sebbene la proposta di fusione avanzata da Fca al momento sia limitata al gruppo Renault, non sarebbe azzardato pensare che nella fusione vi sia l’interesse non solo di sviluppare sinergie tecnologiche, ma anche strategie espansive di mercato. Se infatti il gruppo Fca ha prevalentemente incardinato le recenti strategie sull’uscita dal fallimento “sui binari del flusso di cassa facendo mancare adeguati investimenti” (Francesco Garibaldo, Il Mestiere dell’Auto, Fondazione Sabattini, Meta Edizioni, 2018), il gruppo Renault rappresenta un punto avanzato nel mercato dell’auto elettrica e dispone, grazie all’alleanza con il partner giapponese (Renault detiene il 43,4% del pacchetto azionario di controllo di Nissan Mitsubishi), di architetture modulari avanzate (Common module family) che permettono una maggiore versatilità produttiva. L’alleanza tra Renault-Nissan-Mitsubishi avrebbe inoltre il vantaggio di potenziare lo sbocco sul mercato asiatico di Fca, oggi più orientata oltreoceano.

In un ipotetico scenario futuro, se si profilasse l’integrazione tra il nuovo emergente player eurocentrico (Fca e Renault) e le alleate asiatiche (Nissan e Mitsubishi) nascerebbe il primo leader mondiale dell’auto con un volume di produzione superiore ai 15 milioni di auto all’anno, con un fatturato ipotetico di oltre 280 miliardi e più di 580 mila dipendenti (per una maggiore copertura dei dati si sono aggregati i dati di bilancio del 2017). A titolo informativo nella nostra classifica per dimensione di fatturato il gruppo Nissan si colloca in ottava posizione, con circa 90 miliardi nel 2018, e Mitsubishi alla 22esima.


fonte OpenCorporation su dati Orbis (Bvd)

La fusione tra Fca e Renault, inoltre, rappresenta un confronto tra modelli di relazioni industriali e di management diversi. La piattaforma OpenCorporation, uno spazio web e strumento opendata di informazione e analisi del comportamento delle multinazionali, produce un ranking dinamico delle principali multinazionali al mondo ponderando le diverse informazioni raccolte ed elaborate rispetto a sette diverse aree tematiche: dal dialogo sociale alla responsabilità sociale, dalle politiche ambientali alla trasparenza finanziaria, dalle condizioni di lavoro alle politiche della diversità fino ad arrivare all’accessibilità per persone con disabilità. Il gruppo Renault si colloca in 20esima posizione, mentre il gruppo Fca è 57esimo. Un confronto più attento e puntuale per area tematica analizzata (qui il link alla scheda web di comparazione) sembrerebbe spiegare il gap tra i due gruppi industriali nella dimensione del dialogo sociale, ovvero una sezione tematica orientata a indagare l’impegno contrattuale e partecipativo delle multinazionali. Appare quindi evidente come gli scenari post-fusione rappresentino non solo sfide importanti da un punto di vista produttivo e di mercato, ma anche un terreno di sperimentazione per nuovi percorsi di relazioni industriali a livello transnazionale a cui sono chiamate tutte le organizzazioni sindacali, a tutti i livelli.

Davide Dazzi è ricercatore dell’Ires Emilia Romagna e coordinatore delle attività di ricerca di OpenCorporation