Era il 1995 quando a Pechino si compiva una rivoluzione. Le donne riunite nella quarta Conferenza Mondiale delle Nazioni Unite si imponevano sulla scena politica globale proclamando che i propri diritti erano "diritti umani". Affermazione tutt'altro che banale visto che intendeva promuovere ovunque nel mondo l'uguaglianza e le pari opportunità nella consapevolezza che la differenza di genere non è un limite ma un valore, una risorsa collettiva. Pechino segnò una svolta. La Dichiarazione e la Piattaforma d'Azione prodotte in quell'occasione vennero adottate dai governi e divennero testi di riferimento per gli anni a venire. Parole come empowerment e mainstreaming fecero il loro ingresso nelle agende istituzionali nella convinzione che occorresse sempre contemplare un approccio di genere oltre che misure per rafforzare le donne.

Venticinque anni sono un buon metro per capire quanta strada è stata percorsa e quanta ancora resta davanti, ed è per questa ragione che movimenti e organizzazioni femminili hanno fatto di questa ricorrenza un'occasione di confronto. D'altro canto in questo 2020 si celebra anche il quinto anniversario dell'approvazione dell'Agenda 2030 che tra i suoi obiettivi ha proprio l'uguaglianza di genere. Saranno pure trascorsi vent'anni dall'approvazione della Risoluzione n. 7 del Consiglio di Sicurezza che impone il coinvolgimento attivo delle donne nei processi di pace e nella pianificazione degli interventi volti a evitare conflitti. Molte date e un bilancio che resta in chiaroscuro. 

Se non ci si fosse messa di mezzo la pandemia se ne sarebbe discusso a New York già nel mese di marzo ma paradossalmente oggi è proprio la crisi prodotta dal coronavirus a rendere questo dibattito irrinunciabile. È per questo che un gruppo eterogeneo di donne italiane ha accettato la sfida: ora che economia e società dovranno ripartire ed essere ricostruite le donne servono più che mai. "Nel nostro Paese - si legge nel documento presentato pochi giorni fa da un cartello di associazioni e movimenti - si dovrà tenere conto dell’esperienza e del sapere delle organizzazioni femministe e femminili che continueranno a lavorare per una società più giusta, ma non accetteranno più di essere considerate marginali".

La prova è nelle quaranta pagine che lo compongono, un rapporto fatto di analisi e di proposte che ruotano attorno a 7 temi essenziali, dallo sviluppo inclusivo al contrasto alla violenza di genere, dalla tutela dell'ambiente alle protezioni e ai servizi sociali. In occasione della conferenza stampa di presentazione la presidente della rete dei centri anti-violenza D.i.Re Antonella Veltri ha dichiarato: "Le donne hanno retto il Paese nei primi mesi dell'anno e la pandemia ha mostrato come il lavoro di cura richieda una revisione dei rapporti di genere, ha mostrato il mancato riconoscimento delle donne nello spazio pubblico e come il sistema di soli uomini che include solo formalmente le donne stia fallendo. Inoltre non si è fatto tesoro dell'esperienza dei centri anti-violenza e bisogna ripartire da noi; è questo il cambiamento che vogliamo".

Cambiare, rivoluzionare. Proprio come accadde a Pechino venticinque anni fa. La rivoluzione, infatti, non si è ancora compiuta del tutto e, in Italia, come nel resto del mondo, c'è ancora chi vorrebbe ripristinare un presunto "ordine naturale" - neanche a dirlo - tutto maschile.