Online il nuovo numero del Notiziario dell'Inca Cgil dal titolo “Il populismo nella Finanziaria” (leggetelo QUI). La rivista digitale a cura del Patronato nella sesta e ultima uscita del 2023 dedica la pubblicazione all’argomento più attuale, quello della Legge di Bilancio 2024-2026, con una introduzione firmata dal presidente dell’Inca nazionale, Michele Pagliaro, che riportiamo qui di seguito.

Tra autoritarismo e demagogia (di Michele Pagliaro)

Fare i duri con i più deboli e mostrare una certa dose di clemenza nei confronti dei ceti più ricchi. A questo ci ha abituato l’attuale governo di destra, a un anno dal suo insediamento, che sembra non voler avere alcun contatto con la realtà. Complice anche una certa stampa, l’esecutivo si avvia ad approvare una legge di Bilancio improntata al

perdonismo verso i grandi evasori, che intanto applaudono, e a punire, piuttosto che aiutare, i lavoratori e i pensionati, quasi unici in questo Paese a versare all’erario fino all’ultimo centesimo di tasse.

Vanno in questa direzione: il definanziamento del sistema sanitario nazionale, incentivando il ricorso alle strutture private; le prime modifiche al sistema fiscale, dirette verso la flat tax per cancellare definitivamente il principio della progressività, uno dei capisaldi della nostra Costituzione; il mancato adeguamento delle pensioni, già magre per le tasche degli italiani, come dimostrano i dati diffusi nei giorni scorsi dallo stesso Inps; gli interventi sul sistema previdenziale, che restringono le opportunità di accesso al pensionamento, peggiorando addirittura la legge Monti-Fornero; la mancata proroga del mercato tutelato di luce e gas per le famiglie, nonostante i forti rincari; senza considerare che nulla c’è per i giovani e le loro possibilità di occupazione, riservando alle aziende che li assumono un provvedimento di decontribuzione della durata di un solo anno.

Nonostante ciò, il governo con toni quasi trionfalistici sbandiera la riduzione del cuneo fiscale per un solo anno – neppure strutturale – che distribuirà briciole e che non incide affatto sulla povertà di milioni di persone, vera piaga del Paese; il tutto condito con un intervento sulla tassazione, che premia il lavoro autonomo tartassando il lavoro dipendente.

Piuttosto che combattere la precarietà dilagante nel mercato del lavoro, che rende poveri anche chi è occupato, preferisce indirizzare le già scarse risorse disponibili a realizzare il ponte sullo stretto di Messina (si parla di 11 miliardi di euro), senza affrontare i veri problemi del Mezzogiorno: le infrastrutture interne che mancano e che rendono il Sud poco appetibile per qualsiasi investimento economico. 

Eppure, il governo in campagna elettorale ne aveva fatte di promesse, contro l’Europa, contro la politica dell’austerity, ma se questi sono i risultati c’è poco da sorridere. In nome della lotta ai presunti abusi, ha cancellato il Reddito di cittadinanza sostituendolo con l’Assegno di inclusione, la cui procedura per il riconoscimento è criptica persino per gli addetti ai lavori, come noi.

Il governo smentisce sé stesso e a rimetterci sono i soliti noti. A nulla valgono le parole di conforto sbandierate per dimostrare che l’occupazione cresce, che i dati macroeconomici sono sotto controllo. Ma quale occupazione cresce? Quella di bassa qualità: vale a dire, come riferisce l’ultimo report della Cgil, gli occupati a termine (+30,2%, che raggiungono quota 3 milioni). E si tratta prevalentemente di stagionali, somministrati, lavori intermittenti e prestazioni occasionali. Nell’arco degli ultimi 15 anni, il tasso di precarietà dipendente è aumentato dal 13,1 al 15,7% (+2,6 punti percentuali).

Il governo sembra non accorgersi che, con la sua ottimistica quanto irrealistica visione, si sta risvegliando quella parte del Paese che si mostra sfiduciato, ma che non vuole rassegnarsi al declino. Uomini e donne che hanno protestato numerosi nelle giornate di mobilitazione e di sciopero promosse da Cgil e Uil e che rivendicano quell’attenzione che l’esecutivo nega, sottraendosi a qualunque confronto con le parti sociali. Una protesta che nasce dal basso e che il governo vuole invece soffocare, mostrando addirittura i muscoli con la precettazione per impedire l’esercizio del diritto di sciopero.

L’Inca, con la sua attività di tutela individuale, è in grado di affermare che la domanda di protezione sociale sta aumentando e rischia di aggravarsi se non si daranno risposte concrete al disagio diffuso.

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