“La Costituzione segna una tappa storica nella vita di un popolo, e pur ispirandosi alla realtà, deve proiettarsi nell’avvenire come un progresso”. In questo breve passaggio è possibile cogliere in nuce il significato storico che Di Vittorio assegna a quella che è stata definita “la risposta più alta a quella crisi epocale che nel dramma della guerra si era consumata”, ossia la codificazione di una aspirazione a un processo di crescita e modernizzazione del paese.

Di Vittorio àncora l’aspetto valoriale a quello politico connesso con l’accettazione della primazia del lavoro nei rapporti sociali ed economici di uno Stato che doveva divenire democratico. Per Di Vittorio era assolutamente evidente che quel patto per il quale lui si batteva e che riuscì ad imporre aveva a suo riferimento la risoluzione della più grave aporia storica dello Stato unitario liberale prima e fascista poi, ovvero l’esclusione politico-giuridica, la subordinazione economico-sociale e la marginalità culturale del movimento dei lavoratori.

Nell’analisi del sindacalista pugliese non si trattava di risolvere a tavolino un’equazione che mettesse insieme i valori formali e dottrinali delle culture giuridiche dei partiti politici che si andavano costruendo, bensì di fissare la nuova regola immodificabile che sancisse il punto di arrivo di una lunga stagione di lotte, di conquiste, di sconfitte, di repressioni che avevano accompagnato la vita dello Stato unitario e la cui mancata soluzione aveva precipitato i lavoratori, le loro organizzazioni, le istituzioni stesse nel baratro della guerra la cui disastrosa sconfitta risaliva alle strutture autoritarie dello Stato corporativo e del regime fascista.

È questo il nodo politico che Di Vittorio vuole sciogliere definitivamente nella travagliata storia italiana ed è in questo senso che l’impianto lavoristico costituisce il valore di riferimento dell’intera Costituzione, perché nel compromesso che in essa viene delineato Di Vittorio individua la soluzione di quella aporia storica dello Stato e della nazione italiana, e la legittimazione dell’inclusione delle classi lavoratrici come soggetto fondante della democrazia politico-costituzionale.

Sui cinque interventi pronunciati da Di Vittorio nell’Assemblea Costituente la storiografia si è ampiamente soffermata. Meno nota è invece l’attività complessiva che egli svolge all’interno dell’Assemblea dei 75 nell’ambito della III sottocommissione e che rinvia con grande efficacia alla sua concezione della democrazia e del ruolo che in essa deve ricoprire il mondo del lavoro, ma più in generale alla centralità che, nell’acquisizione della cittadinanza, ha l’affermazione dei diritti sociali, accanto ai diritti politici e civili, nell’ambito della ridefinizione del rapporto Stato-cittadino nell’età contemporanea. Nel suo intervento alla Terza Sottocommissione, in occasione della discussione dedicata al “Dovere sociale del lavoro e diritto al lavoro”, che porterà alla definizione dell’articolo 4 della Costituzione, Di Vittorio sottolinea come “affermare il diritto al lavoro deve significare un impegno che la società nazionale, rappresentata dallo Stato, assume di creare condizioni di vita sociale tali che il cittadino possa avere lavoro”.

Per il segretario generale della Cgil lo strumento attraverso cui attuare questo principio deve essere individuato, non nella richiesta di sussidi allo Stato, ma nell’impegno dello Stato a trarre dalle classi abbienti le possibilità economiche per sostenere tale politica occupazionale. Nella concezione di Di Vittorio la Costituzione rappresenta “una tappa che si proietta nell’avvenire e indica una prospettiva politica e storica”, lasciando aperta la via al progresso legislativo.

Il rinnovamento del paese, nella sua concezione, può essere realmente raggiunto solo se l’attività strettamente costituzionale viene accompagnata dalla preparazione e dall’approvazione di misure legislative che abbozzino la soluzione delle grandi questioni economiche e sociali rimaste aperte, cioè la questione della terra e della riforma agraria, la questione dell’industria e delle riforme industriali, le garanzie e i diritti del lavoro. Di fronte a quello che Di Vittorio ritiene un processo inevitabile, di cui testimonianza è il fermento politico e sociale in corso in quegli anni, con le occupazioni delle terre incolte in Calabria, in Puglia e in Sicilia e i decreti varati nel 1944 dal ministro dell’Agricoltura Fausto Gullo, poi ripresi e modificati nel 1946 dal democristiano Antonio Segni, che prevedevano l’assegnazione delle terre abbandonate o mal coltivate ai contadini poveri, la domanda che ci si deve porre per il segretario della Cgil è “come sarà compiuto”, se pacificamente o “attraverso scontri violenti che possono degenerare nella guerra civile”.

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Riaprono i cancelli delle scuole, seppure ancora con molte incertezze. Mai come oggi le parole che Giuseppe Di Vittorio rivolgeva agli studenti risuonano attuali: "Unite le vostre forze e il vostro slancio giovanile a quello dei lavoratori italiani, d’ogni corrente e d’ogni professione, uniti nella grande Cgil, e noi tutti assieme rinnoveremo l’Italia"
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Evidente è il riferimento alla strage di Portella della Ginestra. La strage siciliana ha sin dall’inizio un forte impatto a livello nazionale ed è oggetto di un acceso dibattito anche nella stessa Assemblea Costituente. Essa rappresenta uno dei passaggi cruciali delle tensioni e dei conflitti sociali che si sviluppano in Italia nel dopoguerra e se, da un lato, mette a nudo i caratteri strutturali dell’alleanza tra cultura e interessi del latifondo e della mafia, dall’altro, si inserisce in una stagione di agitazioni che attraversa l’intero decennio che va dal 1945 al 1953, il cui obiettivo è la soluzione della questione agraria meridionale, intesa come conquista dei diritti sindacali nelle campagne, ma anche del riconoscimento pieno dei diritti di cittadinanza per i contadini meridionali che erano rimasti ancora sostanzialmente esclusi dal processo risorgimentale.

Portella della Ginestra richiama, inoltre, a quella endiade sindacato-democrazia/lavoro-democrazia e quindi al ruolo più ampio giocato dal mondo del lavoro nel divenire del processo di modernizzazione del paese e di formazione e maturazione della democrazia repubblicana. Ed è all’interno di questa più ampia prospettiva tracciata dallo stesso intervento di Di Vittorio nel dibattito alla Costituente, in cui il lavoro diventa il simbolo della fondazione della Repubblica, che si pongono a fondamento del nuovo edificio repubblicano l’affermazione del diritto al lavoro (art. 4), del diritto alla salute (art. 32), il diritto del lavoratore ad una retribuzione equa e sufficiente, al riposo settimanale, a ferie annuali retribuite, alla parità salariale della donna lavoratrice e dei minori (artt. 36-37), il diritto all’assistenza e alla previdenza (art. 38), alla libertà sindacale e al diritto di sciopero (artt. 39 e 40), che fanno della Costituzione italiana la carta fondamentale in cui il concetto di sicurezza sociale, con il riconoscimento del dovere dello Stato di garantire attivamente il benessere dei cittadini e i loro diritti sociali, trova la sua più profonda incorporazione.

* Francescopaolo Palaia è ricercatore presso la sezione storia e memoria della Fondazione Giuseppe Di Vittorio