Attori, cantanti, registi e sceneggiatori, direttori di scena e di doppiaggio, maestri d’orchestra, concertisti e orchestrali, ballerini, scenografi, arredatori e costumisti. È l'universo di persone che compongono il vasto settore dello spettacolo dal vivo, dove il 45% sono donne (salgono all’80% nel ballo, figurazione e moda), il 71% ha meno di 45 anni d’età e si concentra per lavorare nell’Italia centrale (51,3%). Con l’incedere dell’età, la tendenza ad abbandonare la professione artistica può essere fisiologica in alcuni comparti (come nel ballo), ma non in altri, come la prosa e la musica, accattivanti per i giovani alle prime armi, ma molto selettivi quando l’impegno diventa professionale. È quanto si può leggere in "Vita da artisti", la ricerca nazionale sulle condizioni di vita e di lavoro dei professionisti dello spettacolo, a cura dell’Slc Cgil.

La cultura è un bene fondamentale per la crescita individuale e per lo sviluppo di un territorio - è scritto nell’introduzione -, ma troppo spesso è considerata come qualcosa di secondario, se non addirittura un costo per comunità. Nello spettacolo dal vivo operano migliaia di lavoratori che contribuiscono ad arricchire la vita di ognuno di noi, svolgendo un mestiere faticoso e altamente impegnativo. Eppure, la realtà quotidiana di questi professionisti è poco o per nulla conosciuta, sia da parte dei cittadini che delle istituzioni, tanto che le statistiche ufficiali offrono una rappresentazione limitata di questo settore. Con questa indagine cerchiamo di approfondire i bisogni e le condizioni di chi lavora nello spettacolo con professioni creative e artistiche, con qualsiasi modalità contrattuale e in ogni ambito”.

Insomma, come si può vedere scorrendo dati e cifre dello studio, lavorare nel settore non è semplice e neppure le condizioni sono favorevoli, sia dal punto di vista reddituale che contributivo, tanto che, seppur la maggior parte esercita la professione come attività esclusiva (il 60%), una quota rilevante svolge anche un altro lavoro al di fuori dell’ambito dello spettacolo dal vivo. Così come per altri settori, anche questi lavoratori si trovano davanti a una sfida che è propria di chi cerca di affermare la propria professionalità, però in contesti altamente precari. Tra coloro che svolgono un’altra attività, la quota di under 40 è maggiore, segnale che dopo una certa età o si è entrati in maniera strutturata nel mercato oppure si sceglie di non perseguire più tale strada.    

Il report si concentra sugli aspetti riguardanti il mercato del lavoro. Per meglio approfondire la materia, l’Slc ha distribuito un questionario online a 3.856 lavoratori del settore, con la creazione di un sito web appositamente dedicato alla rilevazione. Nel complesso, i rapporti di lavoro nel mondo dello spettacolo si configurano frammentari e assai eterogenei, regolati da formule contrattuali diverse. I contratti temporanei (a tempo determinato, a progetto e a collaborazione) interessano in totale l’80% dei lavoratori, il 10% ha un contratto stagionale e solo il restante 10% vanta una posizione stabile a tempo indeterminato. La partita Iva è usata da circa un quinto degli addetti, mentre in oltre il 30% dei casi forme contrattuali in uso nel settore sono la cessione dei diritti d’autore, il contratto di scrittura e la cessione dei diritti d’immagine. Il voucher, che dovrebbe corrispondere al lavoro accessorio, ha conosciuto un notevole incremento nell’ultimo anno, arrivando al 9,2%.   

L'incontro ripreso da Radioarticolo 1

In generale, si tratta di lavoratori che hanno svolto attività concentrate in pochi giorni: il numero medio annuo delle giornate di lavoro retribuite è 34, più alto per registi e sceneggiatori (135), più basso per gli attori (14). Il tempo dedicato al lavoro aumenta con l’età fino a 60 anni, poi si riduce. I dipendenti sono il 70%. L’aumento delle retribuzioni nell’anno dipende naturalmente dal tempo di lavoro riconosciuto e risulta in assoluto molto contenuto, pari a 5.430 euro pro capite. Dall’analisi del reddito netto annuale percepito nel 2015, emergono delle difficoltà economiche per la maggior parte del campione intervistato: le donne guadagnano meno degli uomini, i redditi più bassi si concentrano nel Mezzogiorno; tra le professioni, i ballerini sono quelli che percepiscono di meno, seguiti da musicisti e attori, mentre stanno economicamente un po’ meglio autori, registi, drammaturghi e scenografi. Emergono poi problemi legati al ritardo dei pagamenti: solo un professionista su quattro è retribuito puntualmente. Dunque, da un lato redditi bassi, dall’altro la natura del lavoro è intermittente e le garanzie contrattuali sono scarse. Questo, determina che per il 71% dei rispondenti è molto difficile ottenere un prestito per sostenere una spesa consistente e imprevista. La grande maggioranza non risulta iscritta a una previdenza complementare.

"Il lavoro irregolare è una pratica molto diffusa - si legge ancora nella ricerca sindacale - e si manifesta in forme diversificate. Se da un lato vi è un esplicito riferimento al lavoro nero ‘tout court’, dall’altro vi sono varie modalità con cui il lavoro non è regolamentato. Ad esempio, il 40,8% del campione intervistato dichiara di svolgere spesso o sempre mansioni non previste dal contratto o dalla commessa; il 60,6% dichiara di svolgere spesso o sempre ore di lavoro non retribuite rispetto a quelle concordate; quasi il 70% svolge prove non retribuite. In totale, il 43,9% dichiara di non aver visto riconosciuto nei contratti il numero di giornate effettivamente lavorate. Vittime del lavoro irregolare sono soprattutto i giovani, le donne, chi risiede al Sud e nelle isole, chi svolge anche un’altra professione, mentre tra le professioni, prevalgono i musicisti (più della metà)".

Secondo lo studio, il rischio della disoccupazione è assai elevato e i periodi di non lavoro molto estesi (da uno a tre mesi per il 41,3% del campione), un problema strutturale per il settore, determinato dalla natura intermittente propria del lavoro. Nel 2015 ha lavorato con continuità solo il 18,8% dei rispondenti. Nonostante ciò, l’83,7% non ha usufruito di un’indennità di disoccupazione. Sul piano delle competenze, la maggior parte (il 72,3) dei rispondenti ha conseguito un titolo specifico nell’ambito dello spettacolo, dimostrando l’importanza d’intraprendere un percorso di valorizzazione delle proprie competenze, fatto di corsi, stage, percorsi di formazione continua. Ma nonostante la formazione sia un elemento imprescindibile nella carriera di questi professionisti, non è l’elemento principale per poter lavorare:  lo è piuttosto  la rete di contatti, la disponibilità ad accettare le condizioni proposte, l’esperienza professionale.

Il mondo dello spettacolo dal vivo è caratterizzato da una forte mobilità. A fronte di una buona metà che svolge principalmente l’attività della propria provincia o regione di residenza, vi è un 40,8% che va al fuori del suo territorio e un 6,5% che opera all’estero. Coerentemente, il 57,1% dichiara di lavorare in trasferta spesso o sempre. Sotto il profilo della salute e della sicurezza, più di un professionista su tre dichiara di aver subìto almeno un infortunio nel corso della carriera, ma per molti lavoratori è difficile assentarsi anche in caso d’indisposizione, tanto che il 62,8% rivela che gli è capitato di continuare a lavorare per un proprio senso di responsabilità, e il 16,8 l’ha dovuto fare per paura di perdere il lavoro. I problemi muscolo-scheletrici sono i disturbi fisici più diffusi (nel 59,9% dei casi).

L’80,3% del campione intervistato punta ad avere una maggiore continuità occupazionale, con più tutele, mentre una quota minoritaria mira a ottenere un compenso più elevato e solo il 5,5% chiede un lavoro stabile, con un contratto a tempo indeterminato. Premesso, che le opportunità di contrattazione sono diversificate, quelli che possono contrattare sempre o quasi le proprie condizioni di lavoro sono solo il 13%, mentre non è mai possibile farlo per più di un lavoratore su quattro. In tale contesto, l’azione sindacale è molto difficile. Quasi un rispondente su tre non sa se il proprio lavoro è regolato da un contratto nazionale e ben il 73,2% non ha mai partecipato ad alcuna attività sindacale. Solo il 9,4% risulta iscritto a un’organizzazione dei lavoratori – perlopiù proprio l’Slc -; tra questi, sono soprattutto i musicisti, mentre la percentuale minore è tra i ballerini. Se interrogati sulle priorità per l’azione congiunta di sindacati e associazioni, i professionisti dello spettacolo dal vivo mettono al primo posto l’istituzione di un equo compenso (una giusta paga minima per le mansioni svolte), ritenuta una priorità per il 44,3% dei rispondenti, seguita dalla promozione di un sostegno al reddito in caso di disoccupazione e tutele sociali (29,6%).     

"I dati della prima indagine ampia e strutturata, mai realizzata in Italia, sui lavoratori dello spettacolo forniscono al Paese un quadro drammatico delle condizioni di chi opera oggi nello spettacolo e nei linguaggi artistici", commenta Emanuela Bizi, segretaria nazionale Slc Cgil, dopo la presentazione dell'indagine. "Il riconoscimento di dignità di lavoratore - prosegue Bizi -, di tutele, diritti e pensioni adeguati è uno degli obiettivi che il sindacato persegue da molti anni, ed abbiamo assistito a troppi progetti di legge di sistema abortiti, mancati provvedimenti ed applicazioni soprattutto in materia di copertura dei tempi di non lavoro (periodi in cui gli artisti proseguono la propria formazione e cercano e preparano altro lavoro), di copertura anche delle prove per gli spettacoli, ma sopratutto il riconoscimento che sono lavoratori con diritti ad avere redditi che permettano di fare questa professione. Siamo soddisfatti che finalmente il Mibact ed alcuni esponenti parlamentari si siano presi l'impegno ad ascoltare le peculiarità di chi opera in questo settore e trovare adeguate soluzioni", conclude Bizi.

Aggiornato alle 19:21