Stop austerità. È il motto della campagna referendaria, avviata dalla Cgil, per l'abrogazione del fiscal compact. Su questo, 'Italia Parla' di stamattina ha interpellato Mauro Beschi, responsabile dell'area politiche dello sviluppo della Cgil (qui il PODCAST di RadioArticolo1).

"Intendiamo raccogliere le 500.000 firme necessarie per cambiare i quattro punti della legge 243/2012 – rileva il dirigente sindacale –, quella che dà attuazione all'articolo 81 della nostra Costituzione, che per l'appunto nel 2012 ha introdotto il pareggio di bilancio, e ci proponiamo due cose: la prima, ridurre un rigore che è stata introdotto in modo persino eccessivo a quello che l'Europa ci chiede; la seconda, riaprire con la gente la discussione sulle politiche economiche e finanziarie Ue e sulle ricadute che hanno sull'Italia. In questi anni, sono state approvate manovre che non solo hanno fatto esplodere il debito, ma non hanno affrontato il problema dello sviluppo e della crescita. L'unica questione risolta, quella della riduzione delle spese, si è però tradotta in tagli al welfare e alle pensioni, attraverso la riforma Fornero, che non solo non ha dato alcuna spinta all'occupazione giovanile, ma ha avuto ricadute negative sui cittadini, soprattutto i meno abbienti che vivono in condizioni di povertà assoluta, che dal 2007 al 2012 sono più che raddoppiati, sfiorando oggi i dieci milioni di persone, pari a circa il 16% della popolazione italiana. Altra conferma negativa delle politiche in vigore arriva dai dati Istat  2013 sui consumi, che segnalano un calo ininterrotto, che contribuisce alla crisi della domanda, ed è la ragione per cui sarà difficile riprendere lo sviluppo con le attuali politiche di austerity".

"Con pensioni per quasi metà sotto i 1.000 euro, con il lavoro povero sempre più diffuso, con la cassa integrazione cresciuta in modo esponenziale e il tasso record di disoccupazione, l'uscita dalla crisi è impossibile – osserva Beschi –. O cambiano le politiche Ue, e di conseguenza anche quelle dell'Italia, per permetterci di avere risorse per fare investimenti e creare occupazione, superando i vincoli assurdi del 3% di deficit-Pil e anche quello del 6% del surplus della bilancia commerciale, un vincolo, tra l'altro, superato da tre anni dalla stessa Germania, oppure non se ne esce".

Sulla questione indebitamento buono, magari per fare investimenti o per mettere in sicurezza il territorio, e che si distingue da quella cattivo, Beschi osserva che "anche questo è un tema che affrontiamo con i referendum, nel senso che ci può essere un debito che crea problemi nell'immediato, ma che in prospettiva permette di recuperare crescita e sviluppo, consentendo anche di ridurre il debito strutturale. Per quanto ci riguarda, noi insistiamo con l'idea della patrimoniale, che permetterebbe di reperire risorse destinate a investimenti in ricerca e sviluppo e in tutti quei settori che permettano di migliorare la nostra competizione internazionale, creando nuove specializzazioni produttive, con ricadute positive sul lavoro".

Insomma, non basta affiancare la parola flessibilità alla parola austerity, come ha fatto di recente il premier Renzi e altri esponenti di governo all'atto dell'insediamento del nuovo Parlamento Ue sotto il semestre italiano. "Temo che tra queste due impostazioni si nasconda un conflitto in atto – commenta Beschi –, dove, da un lato, si ritiene che l'elemento da salvaguardare sia il rendimento del capitale; dall'altro, invece, c'è chi pensa che bisogna promuovere la crescita e l'occupazione. Spero di sbagliarmi, ma temo che non sia ancora matura una modifica della situazione e che la crisi dell'Europa, dalla quale non stiamo uscendo, si tradurrà in futuro per molti paesi in condizioni molto più complicate e dolorose in termini di costi sociali. E penso che la stessa Europa sia una grande idea se si articola su due elementi: un'idea politica che produce istituzioni democraticamente controllate, e un'idea economica che cerca di trovare un'integrazione fatta di solidarietà e non solo di vincoli monetari. Se non c'è questo, la rabbia dei popoli è destinata a crescere, pensiamo alla Grecia, dove non funziona più la sanità pubblica e dove si è abbassata l'età media di vita delle persone di due anni e mezzo da quando sono state applicate le politiche di rigore in quel paese".