Nella finanziaria regionale, arrivata solo poche settimane fa, non c'è stata la svolta che ci si attendeva. La Sardegna resta dunque l'isola della disoccupazione, con indici pesantissimi in termini  di mancanza di lavoro e di riduzione del numero degli occupati”. A dirlo, ai microfoni di Italia Parla su RadioArticolo1 è Segretario generale della Cgil Sarda, Michele Carrus.

Gli ultimi dati dell'Istat vedono una piccola ripresa, è vero - specifica ancora Carrus -, ma che non basta di certo. Come di certo non contrasta la ripresa massiccia del fenomeno migratorio, che sottrae le energie più giovani alla nostra regione. Anche perché le politiche passive del lavoro sono state già falcidiate dal governo. I segnali che ci arrivano, insomma, restano insufficienti, mentre le politiche attive del lavoro messe in piedi dalla Regione non sono abbastanza”. 

La Cgil ha chiesto per anni un vera e propria svolta, che anche in questa occasione non è arrivata. “Pensavamo - continua il leader della Cgil regionale - che ci sarebbero stati interventi più decisi per le opere pubbliche e i servizi. Ma questi investimenti non ci sono stati, perché è mancata una spinta decisa a superare l'emergenza che stiamo vivendo. Chiedevamo un task forse di tecnici per favorire la progettazione dell'apertura dei cantieri e un fondo unico per le opere pubbliche, finora troppo  frenate dai vincoli del patto di stabilità. Non lòe abbiamo ottenute, ma lo chiediamo ancora. E sebbene la disponibilità a ragionarci sopra ci sarebbe, i fatti concreti invece dicono il contrario.” 

Anche la recente riforma dei servizi regionali del lavoro è piena di luci e ombre. Secondo Carrus, infatti, ci sono degli aspetti positivi, “perché la riforma cerca di far fronte a livelli di inefficienza clamorosi aggravati dall'abolizione delle province”, e anche perché viene posta in capo all'agenzia del lavoro regionale “la responsabilità dei servizi per l'impiego attraverso la previsione di centri territoriali capillari”. Senza dimenticare “il percorso di stabilizzazione dei lavoratori precari e in mobilità che erano impegnati nei servizi per il lavoro.”

Eppure, la riforma semplicemente recepisce gli strumenti di politica attiva della legislazione nazionale, e “quindi non innova”. Si tratta semplicemente “del trasferimento e dell'applicazione in regione delle norme varate a livello nazionale”. E come, in ambito nazionale - conclude Carrus - “si prova a mettere da parte i sindacati. Perché nella commissione regionale delle politiche del lavoro viene depotenziata la loro partecipazione, insieme a quella delle imprese. Si preferisce la partecipazione di altri soggetti. Ee è piuttosto singolare, visto che parliamo di lavoro”.