Slitta a mercoledì pomeriggio l'atteso incontro tra governo e sindacati su lavoro e pensioni. Lo si apprende da un comunicato del ministero del Lavoro. La decisione è stata concordata dal titolare del dicastero Giuliano Poletti con il sottosegretario alla presidenza del Consiglio Tommaso Nannicini e i segretari generali di Cgil, Cisl e Uil. "Lo spostamento – si legge – è stato deciso sulla base della previsione che nella giornata di domani si terrà il Consiglio dei ministri per l’esame della nota di aggiornamento al Documento di economia e finanza".

Il tavolo di mercoledì sarà forse l'ultima tappa di un percorso lungo e tortuoso, iniziato il 24 maggio scorso,  con l'obiettivo di tirare le fila sui temi della previdenza e delle politiche del lavoro. Lavoratori precoci, categorie per l’Ape agevolata, l’anticipo di pensione a costo zero, l'importo dell’assegno sotto il quale non scattano le penalizzazioni. Sono questi i punti cruciali che ancora dividono le parti, e sui quali si discuterà in maniera più approfondita.

Il problema sono, come sempre, le risorse. Da una parte c'è l'ampia platea di lavoratori interessati alla possibilità di andare prima in pensione (da 63 anni d’età, grazie all’Ape) dall'altra c'è la spesa pubblica. Bisognerà trovare un equilibrio. I sindacati premono per aumentare i beneficiari, il governo per limitarli. Lo stanziamento per il 2017 per tutto il pacchetto previdenziale (compreso il potenziamento della quattordicesima, le ricongiunzioni gratuite, l’aumento della no tax area) sarebbe di 1,8 miliardi. Per i sindacati, invece, sono necessari almeno 2,5 miliardi.

Il governo, nell'ultimo incontro, aveva indicato: 600-700 milioni per l’Ape, l’anticipo pensionistico; 6-800 per estendere la quattordicesima; 250 per estendere la no tax area; 100 per le ricongiunzioni non onerose, e il resto per affrontare il problema dei lavoratori precoci. E forse questo rimane il vero scoglio che resta ora da superare. O come ha ribadito Susanna Camusso, “il punto chiave per capire se arrivano le risorse oppure no”. Poletti invece si è chiaramente detto spaventato dai costi.

Anche sui numeri non c'è ancora accordo. Secondo le stime dell’Inps sono 3,5 milioni i lavoratori che hanno almeno un anno di contributi versati prima dei 18 anni e che quindi per legge possono essere definiti a tutti gli effetti “precoci”. Ma non tutti oggi hanno già 41 anni di contributi (contro i 42 e 10 mesi necessari per l’uscita anticipata). Secondo il governo i precoci sono invece 80 mila. “Abbiamo sempre detto che bisogna prima ragionare di platee e poi individuare quelle necessarie. Se si fa l'operazione opposta rischiamo di procurare la lesione di alcuni diritti come è successo in passato per gli esodati”. A dirlo è stato Nicola Marongiu, responsabile dell'area contrattazione sociale della Cgil, intervistato da RadioArticolo1 nei giorni scorsi.

Ma è la stessa formula dell'Ape a non convincere la Cgil. “L'Ape – ha detto Marongiu – è uno strumento finanziario, non previdenziale. Questo deve essere molto chiaro. In pratica, ha tutte le caratteristiche di un prestito sul quale abbiamo espresso sin da subito una posizione di contrarietà. È vero che durante il confronto si è aperta una discussione su alcune agevolazioni. Ma strutturalmente resta uno strumento che non vede il nostro consenso, è evidente che non siamo nelle condizioni di fare un accordo”. Quanto alle risorse, “Per le categorie svantaggiate, "al momento viene indicato un limite di reddito oltre il quale ci saranno dei costi per il lavoratore. Si ragiona su un limite di 1.500 euro lordi, che vuol dire circa 1.190 netti. Ma così resterebbe fuori una parte consistente del lavoro dipendente e anche di quello manifatturiero”. Significa che chi usufruirà dell'Ape al minimo si ritroverebbe con un assegno intorno agli 800 euro al mese.

(aggiornato alle 16:39)