La competitività giocata prevalentemente sul basso costo del lavoro rappresenta oggi in Italia una delle principali radici di iniquità, oltre che, probabilmente, una delle maggiori barriere a un vero rilancio del nostro sistema economico-produttivo. “In questa epoca di paradossi – osserva Giuseppe Braglia, della segreteria Cgil di Parma, con una vasta esperienza di contrattazione soprattutto nel chimico-energetico e nell’ambito delle multiutility, nella fattispecie Enel e Iren, dove gli appalti sono all’ordine del giorno – dobbiamo prendere atto che l'opzione più gettonata per far fronte alla pesantissima e inedita crisi che ha modificato i connotati delle nostre economie e dei modelli produttivi e sociali su cui si sono sviluppate, sempre più spesso non è la strada più efficace, ma la più facile, ovvero l’esternalizzazione di intere parti dei processi produttivi, comprese talvolta quelle fondamentali, il core delle aziende”.

Appalti e subappalti sono ormai divenuti parte integrante del sistema d’impresa, sia essa privata o pubblica. “La competitività – prosegue Braglia – viene ricercata facendo leva sui costi inferiori spesso garantiti da contratti stipulati da cooperative cosiddette pirata. Senza contare che nei casi più estremi, ma non poi così rari – come l'inchiesta Aemilia insegna –, tali pseudo cooperative costituiscono lo strumento del malaffare e di vari tipi di illeciti: dall’evasione fiscale e contributiva al lavoro illegale, dal riciclaggio di denaro sporco all’intermediazione illegale di manodopera, fino al caporalato. A strascico, si acutizzano naturalmente le diseguaglianze di trattamento tra lavoratori che svolgono la stessa attività, con una preoccupante e inaccettabile deregolamentazione dei diritti e dei riconoscimenti economici e normativi, oltre che delle disposizioni su salute e sicurezza”.

Si può dire che dentro il variegato mondo della cooperazione si trovi di tutto. “Non mancano certo gli esempi virtuosi – puntualizza ancora Braglia –, che tuttavia avrebbero avuto vita più facile senza colpi di mano come quello sulla clausola sociale con cui è stato licenziato lo scorso 15 aprile dal Consiglio dei ministri il nuovo Codice degli appalti”. Se sempre più spesso si parla di appalti e cooperazione è perché questi rappresentano oggi oltre il 15% del Pil nazionale, tutt’altro che un’inezia. “Noi dobbiamo avere presente che gli appalti sono la frontiera su cui si sta giocando, sulla pelle viva delle persone, la ristrutturazione dei nostri sistemi produttivi. A questo proposito, Parma costituisce un interessante osservatorio, per la vivacità delle sollecitazioni che sindacati e parti sociali avanzano nel tentativo di regolamentare e omogeneizzare un ambito più di altri soggetto a irregolarità e disparità di trattamenti, dove sempre più spesso siamo di fronte a vero e proprio lavoro povero, in cui gli ‘ultimi della catena’ arrivano a percepire due, tre euro netti all’ora. E il nuovo che avanza assomiglia molto al vecchio schiavismo, mascherato, ma neanche troppo”.

In prima fila nella stipula di protocolli volti ad arginare il fenomeno della deregolamentazione selvaggia in materia di appalti c’è naturalmente il sindacato confederale, non certo quelle sigle “strumentali” concepite per avallare accordi che solitamente avvantaggiano nettamente la parte datoriale e che, non di rado, fanno vergognosamente leva sul conflitto tra lavoratori, mettendoli gli uni (poveri) contro gli altri (ancora più poveri). Per la Cgil di Parma, ormai da diversi anni, il tema degli appalti rappresenta non a caso uno dei prioritari filoni d’azione. “Nel territorio parmense – spiega il segretario della Camera del lavoro – sono 490 le cooperative attive, di cui le più importanti per fatturato e dimensioni operanti prevalentemente nei settori dei servizi alla persona”.

Solo nella cooperazione sociale parliamo di circa 6mila addetti. In questo quadro sono stati sottoscritti, sul versante degli appalti pubblici, importanti e per molti versi innovativi protocolli con i Comuni di Parma e Fidenza, con le aziende sanitarie (Usl e Ospedaliero-Universitaria), con il Comune di Salsomaggiore Terme (su sicurezza e legalità). Ma l’iniziativa ha ricompreso anche realtà private, quali Gesin Proges (principale gruppo cooperativo del territorio) e Bormioli Luigi e Bormioli Rocco, oltre all’apertura dello sportello “Legalità e diritti” all’Interporto (con la Filt). Ma cosa puntano a ottenere le rappresentanze sindacali per i lavoratori in appalto? “Ripristino dei diritti, continuità occupazionale, formazione, contratti regolari, sicurezza, tutti elementi strettamente intrecciati con alcune condizioni imprescindibili, come il contrasto del massimo ribasso e la previsione di una clausola sociale”. Due must, appunto, che dovrebbero essere fatti propri innanzitutto dalle stazioni appaltanti pubbliche.

In Emilia Romagna, nonostante la crisi, la notevole entità delle risorse impegnate per lavori pubblici si accompagna alla crescente attenzione rivolta al miglioramento delle modalità di controllo, trasparenza e piena regolarità dei lavori, con procedure quasi sempre definite d'intesa fra le istituzioni e le rappresentanze sindacali e imprenditoriali. Nel 2014 nella regione si sono impegnati 1.260 milioni per lavori, mentre in un solo semestre 2015 sono stati stanziati 351 milioni su bandi per lavori pubblici, 287 milioni per affidamenti di forniture e 994 milioni su bandi per servizi. Il volume delle risorse pubbliche è dunque molto significativo e occorre alzare l’attenzione. In tal senso, si muovono peraltro il recente Patto regionale per il lavoro ed il Testo Unico su legalità e appalti, ormai in dirittura d'arrivo, che prevede numerose misure e interventi per elevare e qualificare ancor di più gli argini per la tutela dell’economia pulita, di imprese e professioni in regola, in un quadro di istituzioni territoriali trasparenti ed efficaci.

“A tutto questo – prosegue Braglia – si aggiunge la necessità di riconoscere la responsabilità solidale del committente, così come richiesto da uno dei tre quesiti referendari su cui la Cgil sta raccogliendo le firme nell’ambito della campagna per la Carta dei diritti universali dei lavoratori”. Proviamo dunque a mettere in fila, partendo dall’esperienza parmense e dai protocolli già sottoscritti, gli elementi di garanzia per un appalto “coi fiocchi”. “Già alcuni anni fa la Cgil di Parma mise a punto un documento in cui si definivano le linee guida per una contrattazione inclusiva, in cui uno specifico capitolo era dedicato agli appalti e partiva dalla considerazione che il tema si interseca con l’inclusività contrattuale, non potendosi esimere la contrattazione aziendale dal tenere in considerazione la presenza all’interno dell’azienda di soggetti terzi a tutti gli effetti a cui è in capo parte del processo produttivo. L’impegno preso in quel documento di inserire in tutte le piattaforme contrattuali di secondo livello un capitolo relativo agli appalti rappresenta un passaggio ‘culturale’ più importante di quanto potrebbe apparire e ‘propedeutico’ a quanto si sta facendo ora, soprattutto se lo si considera in relazione al verbale sottoscritto a gennaio 2016 in ottica di declinazione locale del Patto per il lavoro regionale tra prefetto, presidente della Provincia, sindaco di Parma e rappresentanze sindacali, in cui si definiscono tra le linee d’azione prioritarie proprio legalità e appalti”.

Venendo ai “casi” specifici, la Cgil di Parma tiene soprattutto a segnalare l’importanza dei protocolli sottoscritti in particolare con i Comuni di Parma e Fidenza, in cui si prevedono tra l’altro limiti predefiniti al massimo ribasso; l’applicazione e il rispetto ai ccnl di riferimento; spese per la sicurezza, rispetto delle tariffe minime; l’estensione della clausola sociale; la mappatura periodica di appalti, subappalti e concessioni, delle imprese assegnatarie e dei contratti di riferimento applicati, delle imprese “virtuose” cui sono riconosciuti rating di legalità o certificazione etica (particolarmente innovativo è il protocollo con Fidenza, che contiene una formulazione “no Jobs Act” molto avanzata).

“Non meno importante – ricorda ancora Braglia –, anche per il precedente che costituisce, è il protocollo d’intesa tra i sindacati confederali e il gruppo Gesin Proges, oltre 4mila soci lavoratori, 25 società controllate che gestiscono servizi per bambini, adolescenti, anziani e nella sanità, su trasparenza degli appalti e responsabilità sociale d’impresa, siglato il 30 luglio 2015. Tra i punti qualificanti, l’applicazione della legge 231 sulla responsabilità amministrativa e della legge 81 in materia di salute e sicurezza, la certificazione etica e il rating di legalità, e soprattutto il rispetto delle clausole sociali, volte a garantire il passaggio dei lavoratori in caso di cambio d’appalto, non considerandoli come nuovi assunti, ma mantenendo tutte le condizioni precedenti”.

È stato anche recentemente costituito un Osservatorio paritetico territoriale sugli appalti, promosso da una parte da Cgil, Cisl e Uil e, dall’altra, dalle centrali cooperative (Legacoop e Confcoperative). “Lo scopo, ancora una volta, è quello di promuovere la responsabilità sociale d’impresa favorendo lo sviluppo di un’economia sana ed equa – argomenta Braglia –. Molteplici i compiti dell’Osservatorio, tra questi: acquisire le informazioni e i dati utili a consentire la massima trasparenza nei procedimenti di gara e contrattuali posti in essere dalle stazioni appaltanti pubbliche; monitorare l'applicazione del ccnl di riferimento; verificare la corretta applicazione della clausola sociale nel cambio appalto, al fine di salvaguardare i livelli occupazionali e il mantenimento dei posti di lavoro; organizzare su tutto il territorio provinciale un’efficace e capillare azione di contrasto all’illegalità e al fenomeno delle cosiddette cooperative spurie; sviluppare azioni positive sulla sicurezza, definendo momenti di incontro finalizzati al monitoraggio del fenomeno infortunistico e al miglioramento continuo delle azioni di prevenzione”.

Non solo. Lo scorso 23 giugno, a Parma, è stato sottoscritto anche un accordo che interessa una delle più significative aziende del territorio (un migliaio di addetti occupati), la vetraria Bormioli Luigi, che prevede importanti deroghe agli aspetti più deteriori della recente normativa in materia di mercato del lavoro, con particolare riferimento a videosorveglianza, demansionamento e licenziamenti collettivi. “Un accordo molto significativo, che auspichiamo possa fare scuola, e nel quale non a caso il primo punto riguarda proprio gli appalti. Si esclude la possibilità che l’azienda affidi in esterno lavori pertinenti le attività sue proprie o di manutenzione ordinaria, si prendono in considerazione solo appaltatori che applichino i ccnl siglati tra le associazioni di categoria e le organizzazioni sindacali comparativamente più rappresentative e che rispettino le norme previdenziali e antinfortunistiche, si prevedono verifiche sull’idoneità tecnico-professionale delle imprese appaltatrici. In caso di cambio appalto, la Bormioli si obbliga a prendere in considerazione solo quegli appaltatori che si impegnino ad assumere il personale già occupato dall’appaltatore cessante, conservando allo stesso, pur nell’ambito di un nuovo rapporto, anzianità, qualifica e trattamento retributivo. Insomma, un accordo che ancora una volta dimostra che, quando un’azienda è sana e ben integrata in un territorio, non ha necessità di svalorizzare e impoverire i propri dipendenti”.

Alla fine, dunque: appalto o non appalto? “Fermo restando che l’equazione appalti uguale precarietà è la diretta emanazione di una cultura imprenditoriale di basso profilo e scarsa lungimiranza – conclude Braglia –, va pur detto che l’appalto non è di per sé buono o cattivo. Quando serve a ottenere economie di scala e integrazione di funzioni e competenze, questo ha efficacia e valore. Ma devo avere cura, in quanto committente, tanto più se pubblico, che le maestranze impiegate in quella attività esternalizzata godano delle giuste tutele contrattuali”. Per fare questo, la strada principe che il sindacato ha individuato, a Parma come in altre realtà, è quella della contrattazione aziendale o di sito e della contrattazione sociale territoriale (per i servizi pubblici), puntando a valorizzare entrambi i filoni della contrattazione, pubblica e privata. “Un lavoro lungo e capillare, che sta cominciando a dare frutti e che auspichiamo possa servire da apripista per arrivare a una regolamentazione omogenea e diffusa su tutto il territorio”.