Praticamente un dipendente su tre: 213 su 733. È questa la richiesta di esuberi fatta dal gruppo Dema, società attiva nel mercato delle aerostrutture e dei velivoli civili controllata dal fondo d’investimenti Bybrook, che lavora all’80 per cento per conto di Leonardo, Strata e Bombardier. Il 30 ottobre scorso l’azienda ha annunciato i tagli nei quattro siti di Brindisi (due impianti), Somma Vesuviana (Napoli) e Paulisi (Benevento), con una procedura da attivarsi entro la metà del mese di novembre. Il tavolo di confronto al ministero dello Sviluppo economico per ora non ha portato soluzioni, i sindacati chiedono una nuova convocazione al dicastero.

Nell'ultimo incontro con sindacati e governo, Dema (e le sue aziende controllate Dar, Dcm e Cam) ha evidenziato come, in un settore comunque in crescita, la situazione del gruppo sia difficile poiché gravata da un indebitamento pesante, non più compatibile con gli assetti attuali. La perdita di bilancio è pari a 82 milioni di euro in tre anni. Il gruppo ha rimarcato come questa situazione di particolare criticità dal punto di vista finanziario si ripercuota anche sul processo di sostenibilità industriale. Da qui la decisione di operare una riorganizzazione, della durata di quattro anni, con la conseguente riduzione complessiva del personale dipendente. Raggiunto l’equilibrio finanziario, a partire dal 2021-2022 l’azienda prevede il recupero di una parte degli esuberi.

“L’azienda ha dichiarato la volontà di procedere alla definizione di un piano industriale di cui mancano gli investimenti, le linee di prodotto e gli asset produttivi specifici per tutti i siti”, spiega Claudio Gonzato, responsabile nazionale Fiom Cgil per il gruppo: “In questo contesto non è accettabile che, in una situazione che appare più difficile rispetto alla ristrutturazione di tre anni fa, con molti obiettivi 'bucati' rispetto al piano del 2017, siano i lavoratori a pagare il prezzo maggiore con la dichiarazione di esuberi da parte dell’azienda”. Per l’esponente sindacale “è chiaro che per cogliere le opportunità che il mercato offre serve una solidità che oggi l'azienda non ha. Ognuno dovrà fare la propria parte, ma per condividere un percorso servono un quadro chiaro, a partire dal piano industriale, e investimenti da parte dell'azionista, non iniziative unilaterali che non potranno consentire una discussione serena e compatibile con scelte che garantiscano il rilancio dell'azienda”.

Fiom Cgil, Fim Cisl e Uilm Uil evidenziano, anzitutto, l’urgenza di esplorare “tutte le condizioni e le possibilità alternative ai licenziamenti, a partire dalla verifica per l’utilizzo di ammortizzatori sociali conservativi”. All'azienda chiedono di “declinare nel dettaglio per i singoli siti il piano industriale e il piano degli investimenti che dovrebbero sostenere il salvataggio dell’azienda e il suo rilancio di prospettiva”. I sindacati sollecitano anche l’identificazione di “azioni dedicate per i lavoratori coinvolti dal processo riorganizzativo di tre anni fa, e che oggi, con la conclusione della cassa integrazione e la Naspi, rischiano di essere esclusi definitivamente da qualsiasi soluzione, rimanendo senza alcuna prospettiva lavorativa”.

Lunedì 11 novembre Fiom Cgil, Fim Cisl, Uilm Uil, Fismic, Ugl e Cobas hanno simbolicamente occupato per due ore (dalle 17 alle 19) la sala consiliare del Comune di Brindisi. “Più che un piano industriale, è stato posto in essere un mero calcolo matematico che prevede il licenziamento di 213 persone”, hanno detto i sindacati, sollecitando l’azienda anche a chiarire “il destino dei dipendenti della Dcm che sono coloro che, a oggi, hanno pagato il prezzo più alto in seguito all'acquisizione della Gse e al successivo piano Drago”. Quest'ultimo, è bene ricordarlo, era il piano illustrato da Dema ai sindacati nel momento dell’acquisizione di Gse, avvenuta poco meno di due anni fa tramite asta giudiziaria (la Gse era infatti fallita), che prevedeva il reintegro di tutto il personale attraverso percorsi di riqualificazione e di momentanea cassa integrazione straordinaria per ristrutturazione. I 190 lavoratori ex Gse sono stati così suddivisi: 110 in Dar, 80 in Dcm in cassa integrazione da due anni, con scadenza a gennaio 2020, e al momento senza alcune prospettiva certa di lavoro.

“La tensione nei cassaintegrati è altissima”, spiega il segretario generale della Fiom Cgil di Brindisi Angelo Leo: “Il timore di passare in regime di Naspi, nonostante il passato accordo Drago dell’ex amministratore Starace, che prevedeva un loro graduale reintegro lavorativo in Dar, sia cessato di fatto, con la fuoriuscita dell’ex amministratore”. Per l’esponente sindacale Dema ha presentato “un semplice piano di rientro finanziario basato sul taglio delle teste, rigettato da tutte le organizzazioni sindacali di Puglia e Campania, dallo stesso governo, che ha richiesto a Dema di rivedere e presentare un nuovo credibile piano industriale, e dalle due Regioni”. Angelo Leo, in conclusione, ha sottolineato che “solo un piano di rilancio produttivo industriale potrà scongiurare gli esuberi annunciati: il settore aerospace è in crescita, le maestranze del nostro territorio sono professionalmente all'altezza di affrontare qualsiasi sfida sul piano delle competenze”.

(mt)