Si è svolto il 14 gennaio alle 15.00, nella sala Santi della sede di Corso d'Italia della Cgil a Roma, il seminario conclusivo delle iniziative per il 70° anniversario della promulgazione della Carta. "Lavoro, diritti, modello sociale: dalla Costituzione le sfide per il futuro" è il titolo scelto per l'iniziativa organizzata da Fondazione Di Vittorio e Cgil. Le relazioni saranno tenute da Adolfo Pepe, Edmondo Montali e Carlo Smuraglia, mentre  le conclusioni saranno affiidate a Susanna Camusso. L'incontro sarà moderato da Carlo Ghezzi

Tre grandi culture – quella socialista, cattolica e comunista – 70 anni fa compresero, in clima di guerra fredda, che per costruire l’Italia del futuro, quella che usciva dalle macerie del fascismo e della guerra mondiale, occorreva firmare un patto di altissimo valore che avesse al centro l’uomo inteso come lavoratore, cittadino e membro partecipe di una comunità forte e solidale. Nacque così la Costituzione italiana. E fa un certo effetto, oggi, osservare come in epoca post-ideologica le forze politiche attuali, in un continuo e incessante litigio di piccolissimo cabotaggio, non riescano a darsi un orizzonte comune, una prospettiva per un paese sempre più illividito e rancoroso.

Nessuna delle tre grandi forze politiche che scrissero la Carta (Dc, Pci e Psi), è sopravvissuta al crollo post 89; sopravvive per fortuna, seppur subendo attacchi o, nel migliore dei casi, rimanendo ignorata e anche calpestata, la Costituzione. “Ed è un bene che sia così perché questo testo rappresenta ancora un baluardo, un garanzia fondamentale per tutti i cittadini”, spiega Edmondo Montali, ricercatore della Fondazione Di Vittorio che, insieme alla Cgil, ha organizzato il seminario. “Questo appuntamento – spiega lo storico – arriva alla fine delle iniziative che abbiamo organizzato per il settantesimo anniversario della promulga della Costituzione che entrò in vigore il 1° gennaio del 1948. Abbiamo svolto un percorso di studi e riflessioni per provare a capire quanto quel testo sia sentito ancora come ‘nostro’, quanto quel patto di convivenza ancora incida sulla vita politica attuale e quanto sia tenuto in conto dalle attuali forze politiche. Su questo ultimo aspetto, come ci mostra la cronaca politica quotidiana, purtroppo non si può essere ottimisti”.

Peserà anche il fatto che nessuna di quelle tre forze politiche esiste più: sono state tutte travolte dalla storia…

Montali Sì, questo è il nodo centrale. Noi parliamo della Costituzione come del testo che sancisce i fondamenti del nostro stare insieme, ma i grandi partiti di massa che furono capaci di raggiungere un così alto compromesso oggi non ci sono più e questo è un problema, perché è venuta meno la cultura che ha espresso questo valore. L’intero impianto della Carta immagina un modo di stare insieme che la politica attuale ha sempre più difficoltà a tradurre. Non è possibile immaginare due cose così distanti come la politica degli ultimi anni e la nostra Costituzione.

Questa tua riflessione però potrebbe dar ragione a chi sostiene che la Carta va cambiata.

Montali Credo che questo sia un falso problema.

Quindi la Costituzione è intoccabile per te?

Montali Certo che no. Tutte le Costituzioni, anche le migliori, sono aggiornabili. Non sono tavole della legge di origine divina che devono rimanere immutabili in eterno. Il problema è sempre lo stesso: come si vuole cambiare la Carta. Se si intende stravolgerne i princìpi, sono assolutamente contrario; se invece pensiamo a mutamenti che possano attuarla meglio di quanto non sia stato fatti finora, allora ben vengano. Il paradosso è che nel nostro paese la questione fondamentale che riguarda la Costituzione è l’opposto di ciò che normalmente si indica: la sua applicazione è stata scarsa, e se non fosse stato così, oggi probabilmente non si avvertirebbe tutta questa esigenza di intervenire.

In quali parti secondo te non è stata attuata a sufficienza?

Montali Penso innanzitutto al lavoro. Di solito ci si limita un po’ scolasticamente a citare l’articolo 1, ma questa è una lettura riduttiva. I costituenti costruirono un dettato che ruota integralmente attorno alla cultura del lavoro. L’intera articolazione della Carta ci dice che il lavoro rappresenta la condizione essenziale attraverso la quale la persona non solo  sviluppa sé stessa, ma accede a tutti i diritti di cittadinanza. I concetti di piena occupazione, il dovere dello Stato di intervenire per impedire gli ostacoli economici che si frappongono al benessere delle persone, la progressività del sistema fiscale, il diritto alla casa e molto altro hanno il loro perno nella persona intesa come lavoratore. L’intero terzo titolo dimostra chiaramente come gli articoli che riguardano i diritti dei lavoratori siano qualitativamente e quantitativamente più importanti di quelli che riguardano le imprese o in generale le libertà economiche. Direi, anzi, che quando si parla delle imprese, lo si fa soprattutto per fissare dei limiti alla loro libertà d’azione. Insisto, tutta la struttura economica del paese, secondo i nostri Costituenti, deve ruotare intorno al lavoro. Direi che non c’è nulla di più distante da quello che oggi fa la politica oggi.

Direi che su questo terreno le mancanze purtroppo non sono imputabili alle sole forze politiche attuali.

Montali Hai ragione. C’è stato un lento processo di smottamento che è andato di pari passo con la progressiva affermazione – culturale ancora prima che politica – del neoliberalismo. L’obiettivo è chiaro: la destrutturazione di una Costituzione progressista e garantista fondata sull’idea che la struttura economica del paese debba essere a supporto della persona e del lavoro e non il contrario.

Però, insisto, questi ritardi nella piena valorizzazione dell’elemento lavoro come fondante della comunità ci sono stati anche nel passato.

Montali Senza dubbio. Però vanno fatte alcune considerazioni. Nel dopo guerra l’Italia era in macerie; andava ricostruito il tessuto economico anche a vantaggio di tutti: qualche lentezza nella traduzione di tutti i grandi princìpi del lavoro poteva avere un senso in un’ottica, appunto, che guardava al futuro. Insomma, era evidente che si trattava di un percorso in progress che negli anni ha portato alla costruzione del welfare, allo Statuto dei lavoratori, al sistema sanitario nazionale e che andava nella direzione che avevano in mente i costituenti. A un certo punto questo progetto si è interrotto: la politica ha cominciato a perseguire un progetto del tutto alternativo a questo. Questo progetto aveva al suo centro non più il lavoratore ma l’individuo e l’impresa. In questa situazione bisogna decidere da che parte stare: io continuo a ritenere che la Costituzione rappresenti ancora una grande garanzia per chi voglia costruire una società più giusta.

Quando è iniziato questo processo “controrifomistico” secondo te?

Montali Penso alla fine degli anni Settanta, con la prima grande crisi del capitalismo postbellico e l’affermazione dalla scuola di Chicago, quando hanno progressivamente guadagnato spazio culture che hanno visto nella Costituzione un ostacolo da superare. Di qui pressioni per cambiarla intervenendo su parte sempre più consistenti del testo e con procedure sempre più discutibili.

In che senso?

Montali  Intendo senza passare da un’assemblea costituente – con l’eccezione forse del tentativo della Bicamerale – ma solo a partire da iniziative politiche se non addirittura del governo stesso.

Nel seminario che avete organizzato i diversi relatori parleranno del contributo alla Carta delle sinistre e dei cattolici. Cosa avevano in comune culture così distanti per tanti aspetti?

Montali Partirei, in via generale, dal fatto che alla base c’era un comune impianto umanistico che aveva l’uomo al suo centro. S’incontravano però anche su importanti temi specifici. Per esempio sulla sfiducia che cattolici, socialisti e comunisti mostravano verso un mercato lasciato a se stesso, senza il bisogno di un intervento forte dello Stato per renderlo equo. Poi certo le articolazioni erano diverse, c’era chi pensava alle nazionalizzazioni e chi alla programmazione. Ma quell’idea di base era comune e infatti il fine della Costituzione che venne fuori da quell’incontro non era per così dire “economico”, ma piuttosto quello di sviluppare la dignità della persona.

Anche sul tema del lavoro il sentire era affine, tutto sommato…

Montali Sì e anche su quello strettamente legato della rappresentanza del lavoro. Per questo la Carta non è fondata sull’individuo, ma sulla persona che per esprimersi ha bisogno, appunto, di agire all’interno di formazioni collettive e sociali. Pensiero già presente nella dottrina sociale della Chiesa e nel dibattito culturale degli anni 30 su un uomo umanesimo, sulla scia dei lavori di Maritain e Mounier.

Anche se poi, come sappiamo bene, non tutto fu affatto pacifico…

Montali Certo che no e di esempi se ne possono fare tanti.  Le differenze erano spesso enormi, ma riuscirono a essere composte in cui compromesso alto che rendesse possibile lo stare insieme. E così abbiamo sancito un Stato pienamente laico, ma poi l’articolo 7 assume il concordato. O, ancora, come dimenticare i confronti anche aspri tra La Pira e Basso su chi, tra lo Stato e la persona, avesse la precedenza? Nel 1931 Pio XI con la Quadragesimo anno scagliava un nuovo atto di accusa pesantissimo contro il marxismo (il comunismo ha una "natura empia e ingiusta”), reiterato nella Divini Redemptoris del 1937 (dove il comunismo è definito come "intrinsecamente perverso"); nel 1949, poi, Pio XII addirittura scomunicò i comunisti. Ma nonostante questo clima, quasi negli stessi anni comunisti, socialisti e cattolici stavano intorno a un tavolo a dialogare e trovare punti di contatto.

Sembra incredibile che in un periodo di identità così forti e conflittuali (comunisti e socialisti, ad esempio, erano stati estromessi dal governo) si riuscisse a trovare un accordo mentre oggi, in epoca post-ideologica e liquida, assistiamo a una continua litigiosità tra le forze politiche su qualsiasi questione.

Montali La prima risposta è che è proprio quando le identità sono più deboli che le rigidità e le polarizzazioni aumentano, mentre diminuisce la capacità di cedere qualcosa sul terreno del confronto. Però forse questa affermazione si può in parte correggere. Siamo sicuri che le ideologie siano davvero finite? A me pare che non sia così e che la questione sia un’altra: è rimasta in piedi una sola ideologia, quello neoliberista, e “noi” non abbiamo trovato le armi giuste per affrontarla. All’epoca della Costituente le ideologie erano tre, tutte molto forti, e dunque il contrasto era certamente anche aspro ma determinava un confronto di alto livello che alla fine seppe trovare i giusti equilibri.