"Ci sono punti di condivisione tra il Job Italia del professor Ricolfi e il nostro Piano del Lavoro". Così il segretario confederale della Cgil, Serena Sorrentino, nel corso del seminario dedicato alle politiche del lavoro. "Anche noi - spiega la dirigente sindacale - abbiamo sempre sostenuto che non ci può essere attenzione solo alle regole del lavoro, ma il principio è la creazione di occupazione. Rispetto al Jobs act, invece c'è una prima criticità: non crea nuova occupazione, ma è più un'operazione di redistribuzione dell'occupazione attuale. Il contratto a tutele crescenti non aumenta il saldo netto dell'occupazione esistente".

Il saldo netto, cioè la quota di tempo indeterminato creata ogni anno in Italia è di 135.000 unità. "Se il governo - spiega Sorrentino - stima 1,9 miliardi di risorse legate alla decontribuzione, il contratto a tutele crescenti produrrà lo standard di aumento occupazionale che fisiologicamente c'è già nel Paese. Dunque, non solo non avremo alcuna addizionalità occupazionale, ma il contratto a tutele crescenti peggiorerà la situazione, perchè modifica i rapporti e lo snaturamento del contratto a tempo indeterminato con la liberalizzazione dei licenziamenti, che, da un lato, avvantaggia sensibilmente l'impresa, assieme alla quantità di incentivi a sua disposizione; al contrario, per i lavoratori, non c'è alcun riflesso positivo dalle nuove norme introdotte dal Governo".

"Altro aspetto – ha osserva ancora Sorrentino –, è l'efficacia con cui viene previsto l'incentivo del ccnl a tutele crescenti nella legge di Stabilità: la formula scelta è l'esonero contributivo, che risponde all'idea del governo che quel contratto a tutele crescenti avrà un successo in termini di trend nel 2015. Ma sulla stabilizzazione dell'occupazione non avrà alcun effetto, mentre renderà più precario il contratto a tempo indeterminato. Quando finirà la decontribuzione, le imprese abbandoneranno il contratto a tutele crescenti per tornare al tempo determinato. Per garantire stabilità all'occupazione, bisogna garantire alle imprese sgravi e incentivi perlomeno triennali e non limitati a un solo anno, come fa il Jobs act del governo Renzi".

"Il Jobs act - prosegue - aumenta il livello di insicurezza, mentre il Job Italia di Ricolfi è applicabile a qualsiasi tipologia contrattuale e non prevede uno scambio di cessione dei diritti, come fa il Jobs act, che inoltre accelera le transizioni nel mercato del lavoro e penalizza la qualità di sicurezza sociale che hanno i lavoratori. Se l'obiettivo è quello di creare maggiore e buona occupazione, bisogna costruire forme che producano innovazioni tali da dare risposte a un'occupazione socialmente sostenibile. Il mercato del lavoro è cambiato al suo interno. Se vogliamo costruire un grande piano straordinario dell'occupazione, l'altra domanda da porsi è, oltre alla convenienza dell'impresa, qual è il parametro di riequilibrio sul piano della sicurezza sociale, collegata a settori e attività produttive che possono creare un effeto sociale moltiplicatore nel tempo. Il governo non può avere solo una funzione di dleega all'impresa. In tale ambito, il diritto del lavoro ha una funzione fondamentale, perchè non nasce per governare, ma per correggere l'economia di mercato, salvaguardando il principio dell'autonomia collettiva".

"Creare nuovi posti di lavoro è obiettivo comune – ha concluso la segretaria confederale Cgil –, ma bisogna sperimentare nuove forme, con alcuni punti fermi: la legittimità del contratto che rispetti la dignità professionale del lavoratore. Se voglio contrastare il lavoro nero e sommerso e combattere il dumping interno, qualsiasi proposta che non tenga conto della lacerazione esitente tra lavoro e sistema economico, che è la lesione dei diritti fondamentali delle persone, un codice dei diritti minimi da salvaguardare non è in contrasto con un modello economico. Se non c'è questo, diventerà complicato formulare una proposta economica che rilanci l'occupazione".