Nel suo ultimo rapporto, il Censis lancia l'allarme sui soggetti più a rischio del mondo del lavoro: i giovani, per cui non è mai stato così difficile trovare un impiego, e gli ultracinquantenni, il cui tasso di disoccupazione è salito del 146% dal 2008 al 2013. Un quadro tragico, cui si aggiunge la platea di esodati, atipici, precari, partite Iva, per un totale di quattro milioni di persone coinvolte. Sul tema, Davide Imola, responsabile del Lavoro professionale Cgil, è intervenuto stamattina a Italia Parla, la rubrica di RadioArticolo1 (ascolta il podcast integrale).

"Partiamo dalle partite Iva – rileva il dirigente sindacale –, che abbiamo configurato come individuali, nel senso che non sono un'impresa nè hanno dipendenti o collaboratori, ma lavorano individualmente, mettendo la loro capacità professionale sul mercato. L'Istat ne enumera 3.266.000, cui vanno aggiunti 703.000 parasubordinati, collaboratori a progetto, cococo della pubblica amministrazione, associati in partecipazione, tutti iscritti alla gestione separata dell'Inps. Sono più bistrattati di altri, perchè dallo scoppio della crisi ad oggi sono stati ignorati dal punto di vista sociale, ma soprattutto dalle politiche di sostegno al reddito sia occupazionali che fiscali. Lo stesso governo Renzi finora non ha previsto niente per loro attraverso il Jobs Act, la legge delega e anche per quanto riguarda gli ammortizzatori. Facendo un po' di mea culpa, anche il sindacato è in ritardo: solo negli ultimi anni, con la contrattazione inclusiva, la Cgil ha cominciato a prendere coscienza di questo mondo sconosciuto, indifeso e sempre più debole. Ora, però, il trend è cambiato e questa è una delle grandi sfide che il nostro segretario generale, Susanna Camusso, ha lanciato a maggio dalla platea congressuale di Rimini". 

"Contrariamente a quanto avviene nel resto d'Europa e in America – prosegue Imola –, da noi il più penalizzato è il lavoro intellettuale ad alta scolarità, che spesso viene trattato a condizioni e compensi di gran lunga inferiori a quelli da lavoro dipendente ed esecutivo, anche ai livelli più bassi, come donne delle pulizie e manovali, che perlomeno hanno i contratti che li tutelano, assieme a protezioni di un certo tipo: sul piano salariale, di media, parliamo di 24.000 euro lordi annui contro 15.500, che si traducono in 1.439 euro netti mensili in busta paga contro meno di mille. E stiamo parlando di persone laureate, in possesso di specializzazioni e competenze professionali, che svolgono lavori utili per la collettività, come avvocati, architetti, sui 40 anni d'età, che negli ultimi anni hanno subito un enorme abbassamento dei loro compensi e sono tuttora privi delle più elementari forme di regolazione e tutela. E già più di un milione di loro, quasi sempre i giovani migliori, hanno deciso di emigrare all'estero. Ciò si traduce in un danno per l'Italia, che anzichè puntare sull'innovazione usando le sue migliori competenze e capacità, sta nella competizione internazionale nel modo più sbagliato che si possa fare". 

"Sul fronte della previdenza e del welfare le ricadute negative di questa tendenza sono anch'esse evidenti – osserva ancora Imola –: se ho un reddito molto basso, avrò di conseguenza una pensione assai bassa, addirittura al di sotto di quella sociale. Stessa cosa per quanto concerne le protezioni sociali, come maternità e malattia, che per questi professionisti, pur pagando contributi più alti, sono inferiori a quelle di cui godono lavoratori autonomi e artigiani. È il sistema paese che si è disinteressato del tutto a questi quattro milioni di persone, che ora stanno pagando più degli altri i costi della crisi. E dire che vi sono alcuni provvedimenti che si potrebbero approvare facilmente e a costi infinitamente inferiori a quelli annunciati per gli 80 euro. Ad esempio, le partite Iva iscritte alla gestione separata – 182.000 persone – si pagano da sole il 27% dell'aliquota previdenziale, cosa che non succede a nessuno; nemmeno un datore di lavoro come Marchionne paga così tanto per i suoi operai, al massimo si arriva al 24. Altra cosa, l'estensione degli ammortizzatori sociali alle partite Iva individuali che hanno perso il lavoro e non godono di alcun sostegno: opedrazione che, stando ai nostri calcoli, non costerebbe più di 45-50 milioni l'anno. Stesso discorso per la maternità, dove basterebbe applicare alle lavoratrici interessate il testo unico che vale per libere professioniste, artigiane e commercianti, senza spendere più di quello che si spende oggi".        

Sul piano sindacale, la Cgil si batte per una maggiore omogeneizzazione dei rapporti di lavoro. "Dobbamo fare in modo – conclude Imola – che non ci siano più corpi separati all'interno della stessa azienda, per cui da un lato c'è il dipendente tutelato con i propri rappresentanti sindacali, con il contratto e tutte le tutele, e di fianco un lavoratore a partita Iva o a collaborazione che non ha nulla, nè rappresentanza nè tutele nè regole di alcun tipo. Per superare tali ingiustizie il fine è contrattare, sia a livello nazionale che aziendale, evitando che siano coperte solo le figure del lavoro dipendente, usando il contratto per tutelare chi non lo è e facendo in modo che il sindacato diventi un punto di riferimento per tutti. In alcuni casi, penso ai call center, ce l'abbiamo fatta. In altri, penso alla trattativa in corso per il contratto degli studi professionali che riguarda un milione di dipendenti, 300.000 praticanti e 600.000 tra collaboratori e partite Iva, speriamo vada a buon fine anche la regolazione e la tutela di questi ultimi. Se riusciremo a farcela su questa strada, tra qualche anno avremo molti più lavoratori protetti e molti meno lavoratori sfruttati di quanti lo sono attualmente".