GENOVA - Entrare oggi dentro il porto, e osservarlo dalle finestre del Palazzo di San Benigno, storica sede della Compagnia unica lavoratori merci varie – Culmv: i mitici camalli, per intendersi –, è un po’ come affacciarsi dalla balconata di un teatro e vedere rappresentata sul palcoscenico una scena madre dell’Italia contemporanea. Il sottostante piazzale pullula di tir fermi o in manovra, le banchine sono tutte occupate da navi portacontainer e, oltre le dighe, altre navi attendono il loro turno per lo scarico merci. Completano il paesaggio i terminal, le gru svettanti verso il cielo e i container depositati a terra in attesa di una destinazione.

Al centro di questo movimento apparentemente frenetico, l’antica Lanterna continua a svolgere il ruolo di simbolo, di testimone millenario del vecchio e del nuovo che si affrontano, in lotta perenne sotto il suo sguardo indifferente. E certo non poteva esserci un altro simbolo dei tempi correnti più vicino della centrale Enel a carbone, attaccata alla Lanterna come alghe a uno scoglio, e destinata a diventare a breve un pezzo di archeologia industriale. Nel mese di agosto la centrale ha ricevuto l’ultimo carico della sua nera merce e nel 2017 chiuderà definitivamente i battenti. Seguiranno la stessa sorte, entro il 2021, le centrali Enel di Savona e di La Spezia.

Attualmente, il porto è commissariato dopo le dimissioni di Luigi Merlo che risalgono a un anno fa

Il porto resta comunque la prima industria di Genova e della Liguria, con i suoi 55 mila occupati tra dipendenti diretti (3 mila), servizi vari (agenzie marittime, fornitori, banche ecc.) e indotto, oltre a costituire un patrimonio storico e culturale di immenso valore. La situazione più complicata è quella gestionale-amministrativa. Attualmente, il porto è commissariato dopo le dimissioni di Luigi Merlo, presidente dell’Autorità portuale, che risalgono ormai a un anno fa. Il commissario, ammiraglio Giovanni Pettorino, svolge solo le attività di ordinaria amministrazione, e così tutti i soggetti in diversa misura interessati allo sblocco della situazione, sono in fibrillazione, in attesa che sia insediato il presidente di recentissima nomina, Paolo Emilio Signorini.

Con la prevista riforma delle Autorità portuali (decreto legge 4 agosto 2016, n. 169) si creeranno “sistemi” che, in sostanza, accorperanno le diverse autorità, Genova insieme a Savona, La Spezia insieme a Carrara, Livorno con Piombino e così via, abolendo anche il comitato portuale (che si deve esprimere sulle concessioni ai terminalisti). Dove invece le cose non vanno male è nel settore dei traffici commerciali. “Nonostante la crisi globale, che colpisce un po’ tutti i porti, compreso quello di Genova – spiega Ivano Bosco, segretario generale della Camera del lavoro del capoluogo ligure –, il terminal container Vte di Voltri-Prà ha movimentato da gennaio a settembre un milione e 200 mila teu (twenty-foot equivalent unit, misura standard di volume nel trasporto dei container, ndr) e si prevede che raggiungerà un milione e 500 mila entro la fine dell’anno. Il che costituisce un record assoluto”.

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Voltri-Prà ha investito in nuove gru, due delle quali già funzionanti (sono le più alte del Mediterraneo), che sono in grado di scaricare navi fino a 18 mila teu. Il boom del Vte, dove ormai si concentra la maggior parte dell’attività commerciale, non è dovuto solo alla sottrazione di traffici ad altri settori del porto e ad altri scali del Mediterraneo (in particolare Marsiglia e il Nord Africa, dove sono intervenuti i noti fattori politici), ma coincide anche con l’ipertrofia della navi portacontainer, che continuano a crescere in tonnellaggio – ormai si toccano i 22 mila teu – e in altezza – fino a 80 metri – per un’ovvia ragione di economia (più merce concentrata, meno navi, meno consumo di gasolio, meno scali). Sorgono però nuove categorie di problemi, che vanno dalla necessità di cambiare le procedure di atterraggio del vicino aeroporto, allo spazio nelle banchine, interamente occupato da queste enormi navi, alle difficoltà di manovra (si ricorderà la tragedia della Jolly Nero e l’abbattimento della torre piloti), alla necessità di creare nuovi spazi con l’abbattimento delle dighe esistenti e la loro sostituzione con una nuova diga più al largo; e, naturalmente, alla contrazione del lavoro che tutto ciò comporta.

Diciamo che, se si vuole puntare sul porto – osserva Bosco –, occorre fare scelte precise, a cominciare dalla nomina del presidente dell’Autorità portuale, per finire all’apertura del terzo valico, che aprirebbe la via al traffico ferroviario Genova-Rotterdam e al traffico merci sui canali svizzeri, tagliando la strozzatura dell’Appennino. Un’opera necessaria, se si pensa che in treno viaggiano meno del 10 per cento delle merci, mentre da Voltri-Prà partono più di 3 mila camion al giorno e le navi impiegano 5-6 giorni per andare da Genova a Rotterdam”. E l’ipertrofia delle navi mercantili trova un corrispettivo in quella delle navi passeggeri, che per fortuna qui a Genova non crea l’effetto mostruoso che si ha davanti a San Marco a Venezia, ma comunque sancisce il tramonto delle piccole navi più gestibili da tutti i punti di vista e più produttrici di lavoro umano.

Resta il fatto che sono pochi i porti italiani e del Mediterraneo dotati di tutti i requisiti per ospitare navi portacontainer e grandi navi passeggeri. Genova è uno di questi. E in effetti il traffico ha provocato un’intensificazione del lavoro, in termini di produttività piuttosto che di maggiore occupazione. Oggi nel porto si lavora 365 giorni l’anno, escluso Natale e il 1° Maggio, quando restano attivi solo i terminal passeggeri. Anche in quei giorni però la Culmv garantisce il facchinaggio e lo scarico delle merci avariabili. “E quando tira aria di sciopero – spiega Giacomo Santoro, segretario generale della Filt Cgil di Genova – alcuni armatori nascondono le merci avariabili in fondo alla stiva, in modo da costringere gli operatori a scaricare tutta la merce”.

La legge 84/94 impone una serie di vincoli alla Culmv, a cominciare dalla partecipazione a una gara pubblica, nella quale di fatto è stata finora l’unica concorrente. Non solo. Il comma 15 bis della stessa legge prevede una riduzione progressiva del personale (5% per cento all’anno) in cambio di un contributo commisurato ai risultati di bilancio, che è stato erogato fino al 2014. “Dopo il varo della riforma – spiega il console della Culmv Antonio Benvenuti, alla testa dei suoi attuali 888 camalli – abbiamo dovuto adeguarci alle nuove regole di efficientamento del porto e ai nuovi mezzi, anche attraverso la formazione interna di personale specializzato. Si è alzata la produttività per turno e per gruppo e abbiamo registrato una stabilizzazione delle giornate, pur senza mai raggiungere i livelli del 2008”.

«Se una nave attracca alle 2 del mattino devi avere una squadra pronta. Senza contare che, quando scarichi 2.500 container in una banchina, non puoi lasciarli lì»

Tutto il lavoro nel porto sta diventando lavoro temporaneo a chiamata, con tempi ristretti e maggiori prestazioni richieste in tutti e quattro i turni giornalieri, che non prevedono soste, né notti, né festività. “Se una nave attracca alle 2 del mattino – prosegue Benvenuti – devi avere una squadra pronta e, per far fronte ai picchi di lavoro, siamo stati costretti a sospendere più di una volta le ferie, anche se in generale cerchiamo di far ricorso alla volontarietà. Senza contare che, quando scarichi 2.500 container in una banchina, non puoi lasciarli lì. Devi inoltrarli alla svelta in attesa della prossima nave. Ecco perché in passato non si vedeva tutto questo movimento nei piazzali”. D’altronde, da queste parti vige la regola suggerita dal vecchio console della Culmv Paride Batini, che ha fatto scuola a più di una generazione di camalli: “Prendi una lira in meno, ma tieniti il lavoro”.

In breve, di fronte a una maggiore richiesta di lavoro flessibile, la Compagnia avrebbe bisogno ora di personale aggiuntivo. E in effetti la Culmv, oltre a impiegare il proprio personale, nei mesi scorsi ha fatto ricorso a 57 occasionali forniti dalle agenzie interinali con contratti giornalieri. I revisori dei conti del comitato portuale hanno però inoltrato una nota alla procura della Repubblica, sostenendo che la Compagnia avrebbe contravvenuto all’obbligo di ridurre gli organici, che riguarda anche il personale amministrativo. Alla fine il ministero dei Trasporti ha dato ragione alla Compagnia, ma il ricorso ha bloccato finora ogni nuova assunzione, per quanto precaria, e – quel che è peggio, secondo Benvenuti – ogni sforzo di formazione delle nuove generazioni per le professionalità richieste dal mercato.

Che fare dunque? La confluenza della Pietro Chiesa nella Culmv potrebbe essere una soluzione, a patto che cambi la normativa. Già in passato la Culmv ha assorbito la Compagnia ramo industriale con i suoi 200 dipendenti e la Genoa Terminal con i suoi 190, oltre alla Cooperativa carenanti. Al momento però né la Pietro Chiesa appare disposta ad accettare i vincoli dell’articolo 17, né la Culmv intende accettare le responsabilità di impresa previste dall’articolo 16, in particolare per quanto concerne il capitolo sicurezza. E d’altronde la Culmv è molto gelosa delle prerogative che finora le hanno consentito di mantenere l’esclusiva del lavoro nel porto, o meglio – come tiene a precisare Benvenuti – “l’esclusiva dei picchi di lavoro”.

Certo, ci sono alcuni aspetti che stridono, e prestano il fianco alle critiche di “corporativismo” e “residuo del passato”: la compattezza, il senso di appartenenza, il lavoro che passa di padre in figlio. Ma qualcuno storce il naso anche per un altro motivo: i camalli rifiutano badge e tornelli, preferendo fare acrobazie pur di evitarli. “Difficile fare assimilare ai camalli il senso di gerarchia – obietta il console –. Non è nel loro dna. Alla fine però sono tutti lavoratori produttivi”. Produttivi, va aggiunto per completezza di informazione, lo sono anche perché godono di incentivi a giornata. Il 60 per cento del loro salario è garantito dalle giornate e dai turni, compreso il mancato avvio, mentre il restante 40 per cento è coperto dal lavoro effettivo e dal premio di risultato.

Un riconoscimento “de facto”, quello dell’esclusiva del lavoro nel porto, che garantisce – in uno dei luoghi pericolosi per eccellenza – il controllo sulla componente lavoro da parte delle istituzioni riconosciute, escludendo dal porto cooperative strane e lavoratori in nero. Forse fanno eccezione i camionisti di varie nazionalità che entrano nei piazzali per portare via la merce su mezzi di dubbia efficienza e con contratti capestro. Ma questo riguarda più la strada che il porto. E allora, se funziona così va bene così, e nulla è destinato a cambiare? “Oggi il 50 per cento del monte ore lavoro nel porto è di nostra pertinenza – conclude Benvenuti, riferendosi alle attività che non sono svolte direttamente dai terminalisti o affidate ad altre cooperative –. Fino al 2019 le disposizioni normative sono queste. Ci sono stati imposti obblighi e noi li abbiamo rispettati, a cominciare dalla trasparenza. Le grandi navi hanno bisogno di più flessibilità e noi siamo la flessibilità fatta persona. Se ora, dopo 20 anni di riforme che hanno reso la situazione quanto mai frastagliata, vuoi creare un ufficio che regola l’organizzazione del lavoro, va bene. Se invece vuoi usare le imprese di appalto come cavallo di Troia per deregolamentare il lavoro nei porti – non è il caso della Pietro Chiesa, intendiamoci – venderemo cara la pelle. Non siamo nati per diventare lavoratori interinali”.