Qui di seguito le indicazioni della  commissione Hartz che la coalizione di governo Socialdemocratici-Verdi tradusse in quattro pacchetti di legge a partire dal 2002.

Con Hartz I si voleva rendere più flessibile il mercato del lavoro allentando la normativa sul lavoro interinale. Il tentativo di migliorare i servizi di collocamento favorendo l’istituzione di agenzie private si rivelò invece un fallimento. Hartz II promosse ulteriormente i cosiddetti mini-jobs e l’occupazione a orario ridotto. Le cosiddette Ich-Ag (spa individuali) furono al contrario ben presto soppresse.

Hartz III mirava a modernizzare l’amministrazione del lavoro. Che in seguito – a parere quasi unanime – è effettivamente migliorata di molto, anche se la Corte costituzionale ha dichiarato incostituzionale la nuova amministrazione mista tra Stato e Comuni. È tuttora in atto una soluzione compromissoria tra le due istituzioni che prevede una suddivisione dei diversi tipi di senza lavoro a seconda delle caratteristiche (disoccupati di lungo periodo o no). Hartz IV, la normativa più contestata, ha accorpato sussidio di disoccupazione (in genere dopo dodici mesi) e assistenza sociale, creando il sussidio di disoccupazione II.

Attualmente (2012) tale sussidio consiste, per singola persona adulta, in 374 euro mensili (costi per l’affitto a parte). Era partito (nel 2006) da 346 (per i residenti all’ovest) e 331 (all’est) ed è stato successivamente unificato a 347, nel 2007. Ulteriori incrementi si sono avuti nel 2008 (351 euro), nel 2010 (359) e nel 2011 (364).

Il numero dei percettori del sussidio in età e capacità lavorativa ammontava nel 2011 a 4,62 milioni, nel 2010 a 4,89 milioni. La punta più alta si è avuta nel 2006, con 5,39 milioni. Una recentissima inchiesta dell’Ufficio del Lavoro (Ba) smentisce molti luoghi comuni e pregiudizi diffusi nella maggioranza dell’opinione pubblica.

Il 71 per cento dei percettori del sussidio si dichiara disponibili ad accettare qualsiasi tipo di lavoro anche se non corrisponde alla loro qualifica; il 44 per cento (800 mila persone) dispone di un attestato professionale o di un titolo di studio universitario; il 26per cento ha un’occupazione che però non garantisce il livello minimo di sussistenza; il 13 per cento segue corsi di riqualificazione.