Al via il tavolo di confronto tra Cesare Fiorucci e sindacati sui 106 licenziamenti (su 497 dipendenti) chiesti dall’azienda. L’incontro si tiene oggi (lunedì 9 gennaio) a Roma, presso la sede di Unindustria. Lo storico salumificio di Pomezia (Roma), acquisito nel 2011 dalla multinazionale Campofrio Food Group, ha avviato il 4 gennaio scorso la procedura di licenziamento collettivo. Immediata la protesta della Flai Cgil Roma Sud Pomezia Castelli, che si dice “esterrefatta per quanto si preannuncia nel piano aziendale”, e annuncia dopo l'incontro la convocazione di “un'assemblea generale per decidere insieme ai dipendenti come affrontare le grave situazione”.

Intenzione della società, spiega il segretario Gianfranco Moranti, è quella di “esternalizzare alcune lavorazioni: tutto il personale del reparto confezionamento salami (27 addetti) , ad esempio, risulterebbe completamente in eccedenza”. Tutto questo “a pochi mesi dalla disdetta aziendale di tutto il salario integrativo concordato negli ultimi 30 anni con il sindacato, e dopo che l’azienda ha riassorbito l’ultimo aumento salariale previsto dal rinnovo del contratto nazionale”.

La società ha dichiarato nella procedura che non possono essere previste via alternative all’esubero strutturale. La Flai Cgil pensa invece che “possono essere utilizzati strumenti alternativi che il contratto nazionale e la normativa vigente mettono a disposizione, idonei alla salvaguardia della competitività aziendale, delle produzioni e, quindi, alla tutela dei livelli occupazionali del sito di Pomezia”. Strumenti, precisa Moranti, individuati “con l’ultima assemblea con le maestranze e descritti in un’ipotesi che abbiamo illustrato all’amministratore delegato della società in occasione dell’ultimo incontro relativo alla disdetta degli accordi integrativi di secondo livello”.

Le difficoltà del salumificio, che vanno avanti da anni (con ampio ricorso ai contratti di solidarietà), sono diventate manifeste nell’estate 2016. Nell’incontro del 3 agosto scorso tra azienda e sindacati, la Fiorucci aveva infatti comunicato a Fai, Flai e Uila la grave situazione finanziaria (dovuta, a detta della società, alla crisi del consumo di carne suina in Italia), la necessità di una ristrutturazione con annessa riduzione del costo del lavoro, la disdetta di tutti gli accordi aziendali di secondo livello (risalenti al marzo 1982) e l’esternalizzazione dei servizi aziendali.