PHOTO
Dieci anni di crisi. Come è cambiato il mercato del lavoro? Come è cambiata la stratificazione sociale del nostro paese? Ne ha parlato a RadioArticolo1 Fulvio Fammoni, presidente della Fondazione Di Vittorio della Cgil. “Il numero delle persone che lavorano – spiega – è ritornato sostanzialmente a livello pre-crisi. Le ore lavorate, però, sono sensibilmente inferiori: circa 700 milioni, che equivalgono a quasi un milione di unità equivalenti a tempo pieno. E questo non è dovuto, come molti sostengono, a una giusta redistribuzione degli orari ma ad un peggioramento drasticamente qualitativo delle forme di lavoro che vengono utilizzate”.
Fammoni, in particolare, sottolinea il boom dei lavori a tempo determinato: “Negli ultimi anni il nostro flusso di lavori a termine è molto più accentuato che nel resto d'Europa. Se continui così, tra un po’ saremo in testa alla classifica”.
L’Italia, però, ha una sua caratteristica specifica: “A differenza degli altri paesi europei, da noi continua a crescere in maniera abnorme il lavoro non qualificato e questa è una raffigurazione del modello di sviluppo di questo paese”. Il dirigente della Cgil si è poi soffermato sul tema della formazione: “In un paese come l'Italia è un tema decisivo per il futuro. Molti lo mettono in relazione, ed è giusto che sia così, rispetto alle nuove tecnologie digitali. Ma non è solo questo”. “Nonostante che noi abbiamo perso decine di migliaia di imprese, per lo più piccole e piccolissime, nel corso della crisi e quindi si è ristretta la nostra base produttiva, non è migliorata la qualità della produzione. Ancora si continua a scommettere sul breve periodo, su una possibilità di competizione – ovviamente perdente – sui costi. Quindi: è giusto pensare all’occupazione futura, ma se non riqualifichiamo intanto le persone che oggi sono all'interno del mercato del lavoro, potrebbe esserci una beffa: il rischio è che quando la crisi finirà, non si invertirà sostanzialmente la curva dell'occupazione”.
Tra i problemi più gravi che affliggono il mercato del lavoro italiano c’è quello del tasso di occupazione femminile che è tra i più bassi d'Europa. “È così – conferma il presidente della Fondazione Di Vittorio – e quel poco di incremento che c'è stato è stato a tempo molto ridotto. L'Italia ha un numero di part-time simile a quello di altri paesi europei, ma quello che è il più consistente di tutti è il part-time involontario, quello cioè in cui le persone sono costrette ad accettare quel tipo di lavoro perché non ne trovano un altro. E questo fenomeno riguarda in maniera molto rilevante le donne. Così come è involontario e subito il lavoro a tempo determinato”. Se quindi sommiamo “i tre milioni di disoccupati effettivi – più quelli che si celano nell'area dell'inattività – con i quattro milioni e mezzo di lavoratori involontari a tempo ridotto e basso reddito, abbiamo quell'area ampia di povertà relativa che affligge il nostro paese”.