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Da Italia 2013
Bettino Craxi è stato una figura complessa: non è un caso se ha una figlia che siede nel governo più a destra della Repubblica e un figlio che lavora a sinistra oppure che un pezzo di socialisti stia con Berlusconi e un altro, più piccolo, stia nel centrosinistra. Tuttavia bisognerebbe cominciare a porsi una domanda: il Craxismo, dal punto di vista storico, non è meglio collocarlo nel centrodestra? Sarà un caso se i socialisti hanno avuto più successo lì?
1. Il Craxismo sta dentro il “trentennio conservatore” (quello inaugurato dalle vittorie della Thatcher e di Reagan) per alcuni motivi: l’idea del rafforzamento dell’esecutivo, anche al di là delle regole formali; l’idea che modernizzazione e mercato coincidessero; l’equazione tra libertà e consumo (cos’era la Milano da bere se non questo?); l’idea che lo sviluppo passasse per la compressione dei salari e il cambiamento del ruolo dei sindacati. Craxi non era la stessa cosa della Thatcher o di Reagan per carità, però il craxismo (nei suoi lati politici, che ci sono stati) può forse essere di maggiore ispirazione per una destra liberale che per una sinistra post-ideologica.
2. All’Italia degli ultimi 30 anni sono mancati i socialisti. E’ mancato negli anni ‘80 un vero partito socialista che lasciasse in eredità al Paese nuovi pezzi di stato sociale (come in Francia) o un’opera di reale modernizzazione infrastrutturale e culturale come in Spagna. Craxi ha lasciato dietro di sé la stessa spesa pubblica fuori controllo che aveva trovato. Quel debito è il vero prezzo delle sue politiche, e la generazione di chi oggi ha 20-30 lo sta ancora pagando. E’ nei suoi anni che si perde il treno del controshock petrolifero per risanare i conti, ed è in quegli anni che il circuito del voto di scambio viene alimentato sempre di più dalla spesa pubblica clientelare. E’ mancato poi, in questi ultimi anni, un partito socialista a sinistra che, oltre che difendere quell’eredità storica, riuscisse a proporre la riforma della società insieme con i valori laici. Una missione che gli ex-socialisti di sinistra avrebbero potuto compiere molto meglio degli ex-comunisti. Ma non è tutta colpa dei primi se non ce l’hanno fatta, semmai forse qualche responsabilità ce l’ha la subalternità culturale dei secondi.
3. C’è un’analisi della società che è stata elaborata dagli intellettuali socialisti degli anni ’80. Perché di questo a Craxi va dato atto: da un’analisi della società italiana è partito e su quell’analisi ha costruito un mondo intellettuale che non è fatto solo di Sacconi e Brunetta ma anche di Giuliano Amato e altri. Quell’analisi verteva sull’idea che in Italia ci fosse un “popolo delle partite IVA”, un mondo di “ceti emergenti” slegato da quello del lavoro dipendente in declino e al quale andava data rappresentanza. E’ un’analisi che ha fatto scuola: si leggano i documenti congressuali o le proposte politiche di partiti della seconda repubblica diversi tra loro come Alleanza Nazionale, Forza Italia o il PDS del 1997. Però è un’analisi che non ha funzionato. Il PSI non riuscì mai a rappresentare quei ceti, anzi si rafforzò elettoralmente (oltre che a Milano) solo nel sud Italia dove di emergente c’era soprattutto la criminalità organizzata. E proprio quell’analisi è forse stata il limite del Berlusconismo (che non ha mai preso neanche i ¾ dei voti del vecchio pentapartito) nonché dei vari partiti post-comunisti che sono riusciti nel capolavoro di perdere il lavoro dipendente senza mai sfondare tra i mitici “ceti emergenti”. Che, ci permettiamo di ipotizzare, forse non esistono come soggetto collettivo: chi ha aperto una partita IVA nella propria vita sa che dietro ci può essere un grafico informatico di Milano come un imprenditore del nordest che ha un singolo committente da cui è, di fatto, dipendente. Gente molto, ma molto, diversa. Forse, almeno a sinistra, è l’ora di liberarsi di quell’analisi e ricominciare a pensare alla società in termini di chi sta sopra e chi sta sotto.
Insomma, è vero il craxismo non è stata un’associazione a delinquere e non si può schiacciare tutto sulla vicenda giudiziaria. E’ stata una fucina di idee, anche se chi scrive ne condivide ben poche. Ma viva chi fa della politica anche una battaglia di idee invece di chi la pensa solo come semplice mediazione tra posizioni immobili! Di Sacconi o Brunetta si può dire tutto ma non che non siano in grado di combattere una tale battaglia. In secondo luogo non va fatto un altro errore: schiacciare tutta la storia del socialismo italiano sui suoi ultimi anni. E però, proprio per questo, un dato salta agli occhi: un bambino degli anni Sessanta poteva dire, qualche anno dopo, che proprio grazie ai socialisti e al loro impegno per la scuola media unica era un uomo più libero; una donna degli anni Settanta poteva dire altrettanto grazie alle battaglie socialiste (e non troppo del PCI invece) in favore del divorzio e dell’aborto; un bambino o una donna degli anni Ottanta faticano parecchio a trovare analoghi argomenti su Bettino Craxi.
Ps. Pochi lo dicono in questi giorni, ma oltre che ministri nel governo Berlusconi, i socialisti di una volta sono alla testa di alcune tra le maggiori società di produzione televisiva – quelle che una volta si sarebbero definite le casematte dell’egemonia culturale. Il presidente di Endemol è il compagno di Stefania Craxi mentre il presidente e fondatore di Einstein Multimedia è Luca Josi, ex segretario dei giovani socialisti ai tempi di Craxi.