Lo scambio è stato davvero senza esclusione di colpi. Da una parte, Susanna Camusso, segretario generale della Cgil; dall'altra, Filippo Taddei, responsabile economico del Pd. Oggetto del contendere, i provvedimenti in materia di mercato del lavoro, messi a punto dal Governo. "Sul lavoro, Renzi fa solo propaganda e non ci sono idee nuove – ha esordito la leader sindacale –. Il Jobs act penalizza sotto il profilo delle tutele la parte più debole dei lavoratori, quelli degli appalti o tutti coloro che sono pagati con i voucher o il lavoro a chiamata, ritenuto la forma più odiosa di contratto precario. Avremo contratti 'a monetizzazione crescente', a vantaggio esclusivo delle imprese, i cui effetti sull'occupazione sono ancora da dimostrare: di certo, quelli che aumenteranno sono i licenziamenti, a seguito della cancellazione dell'articolo 18 e della libertà consegnata agli imprenditori. Il risultato è che si è intervenuto sul rapporto di forza tra azienda e lavoratori, favorendo chi è più forte, in tal modo aumentando le disparità, moltiplicando le divisioni, costruendo ulteriori divaricazioni". Parafrasando la flexicurity danese – ha aggiunto Camusso –, "Renzi è molto flex e niente security, perchè ha delegato tutto alle imprese. Tagliando il costo del lavoro e non ponendo alcun vincolo agli imprenditori, le risorse andranno a maggiori profitti e non a maggiori investimenti, ad esempio in ricerca e sviluppo, o in innovazione, di cui il Paese ha urgente bisogno, se vuole fare un salto di qualità per diventare competitivo sui mercati puntando sulla qualità, anzichè produrre a basso costo. Nel contempo, serve una nuova politica contrattuale, ferma al Protocollo del 1993, e una nuova politica dei redditi, che vada oltre gli 80 euro".

"Quella sul mercato del lavoro è una riforma importante – ha ribattuto Taddei –, che cambia il paradigma: al posto della tutela del posto di lavoro e della flessibilità delle forme contrattuali, principale causa della perdita di oltre un milione di posti di lavoro, oggi diamo centralità al lavoratore e a una tipologìa contrattuale che favorisce la stabilità, oltre alla flessibilità alle imprese. Per la prima volta, poi, si supera l'inganno della parasubordinazione e si applicano le tutele dei lavoratori dipendenti anche agli autonomi". Il dirigente politico ha invitato a guardare all'equilibrio complessivo del Jobs act, a non disconoscere il valore del superamento dei contratti di collaborazione e del lavoro a partecipazione, a considerare la nuova tutela della disoccupazione a quanti prima non ne usufruivano. "Stiamo offrendo incentivi fiscali e contrattuali per assumere in modo stabile – ha continuato l'esponente del Pd – e non si può trascurare il fatto che per la prima volta diamo un sostegno di sei mesi di disoccupazione a migliaia di lavoratori. Quanto alla scelta del risarcimento al posto del reintegro dei lavoratori licenziati, capisco il dissenso del sindacato, ma non si può dire che riportiamo indietro il mercato del lavoro o ci allontaniamo da altri paesi europei, perchè quello introdotto dal Governo è il modello vigente nell'Ue".   

Tutto questo è avvenuto nel corso dell'iniziativa organizzata dalla Filcams ("New order, contrattazione: contesto, scenari, prospettive"), dedicata al tema dei diritti nell'era del Jobs act, che si è tenuta oggi a Roma (presso la Casa del jazz, viale di Porta Ardeatina, 55), cui hanno partecipato anche il sociologo Andrea Ciarini, il giurista Luigi Mariucci e l'economista Michele Raitano.

"Quella del Governo – ha sottolineato Ciarini – è una riforma del mercato del lavoro sbilanciata sul versante delle imprese, che hanno  tutto da guadagnare dagli sgravi previsti in caso di assunzioni, e dalle facilitazioni introdotte sui licenziamenti. Ciò che manca è un controbilanciamento sul versante della tutela del reddito, dove mancano interventi adeguati. L'attuale balcanizzazione del mercato del lavoro dipende sopratutto dalla deriva del sistema produttivo italiano, che non investe in innovazione, ricerca e formazione. Rispetto alle media Ue, da noi il terziario avanzato, soprattutto il lavoro qualificato nei servizi, addirittura decresce. E sono proprio i settori dove si può creare maggiore occupazione: pensiamo al lavoro di cura e assistenza agli anziani, ai servizi alla persona. Se facciamo un paragone con la Germania e le riforme Hartz, introdotte dall'ex governo Schroeder tra il 2002 e il 2005, vediamo che in quel caso si può parlare di vera rivoluzione del mercato del lavoro, con 7,5 milioni di nuovi posti di lavoro creati dall'Agenzia federale del lavoro, primo datore di lavoro del Paese, grazie allo strumento dei minijob, i cui destinatari usufruiscono anche del reddito minimo garantito e di agevolazioni sul welfare. Nulla di tutto questo è paragonabile con l'Italia, dove si può parlare di riforme a basso costo, per la penuria di risorse a disposizione".

Sempre sul rapporto con la Germania, si è soffermato anche Mariucci: "I tedeschi hanno investito sulle strutture pubbliche del mercato del lavoro all'atto della riforma, mentre da noi il fronte più debole del sistema sono proprio i centri per l'impiego, del tutto inadeguati anche per quanto riguarda la lotta all'illegalità, considerando che i dipendenti sono quasi tutti cococo, mentre l'agenzia nazionale del lavoro, architrave fondamentale per una governance del mercato del lavoro, è ancora sulla carta. Sul Jobs act, bisogna capire se si siamo di fronte a una rivoluzione tolemaica, oppure è solo un provvedimento tatticistico. È presto per dirlo, di sicuro si sono create quattro categorie di licenziamenti al posto delle due precedenti, e persistono dubbi di costituzionalità sui licenziamenti collettivi, in quanto lì si applica una direttiva europea, di cui il Governo non ha tenuto conto. Temo che questa riforma Renzi abbia creato un effetto doping sul mercato del lavoro, di corto respiro, che consentirà un po' di assunzioni nei prossimi mesi, ma poi nel 2016 tutto tornerà come prima, perchè finiranno gli incentivi e non si sono affatto disboscate le forme precarie. In più, ci sarà un danno permanente per via dell'introduzione di un dualismo odioso che creeà effetti perversi nel mercato del lavoro, tra lavoratori più tutelati e meno tutelati".

Secondo Raitano, "è necessario intervenire sul welfare, dove abbiamo la spesa complessiva più bassa d'Europa e tutta sbilanciata sul versante delle pensioni, mentre c'è scarsità di fondi sul versante degli ammortizzatori sociali e sulle politiche attive del lavoro. La Naspi tutela di più di Aspi e mini Aspi sotto il profilo dei requisiti di accesso, ma nel contempo penalizza maggiormente i lavoratori stagionali e con contratto a termine, che devono lavorare di più per avere diritto alle prestazioni. Per esprimere un giudizio complessivo sul Jobs act, invece, è necessario attendere il 2017, quando la riforma andrà a regime. La speranza è che il contratto a tutele crescenti spazzi via il decreto Poletti, che ha liberalizzato per tre anni i contratti a termine, e crei nuova occupazione. Più in generale, non bastano buone leggi, ma deve cambiare il sistema produttivo italiano con investimenti a lungo termine sulle politiche industriali, come avviene nel resto d'Europa. Da noi, dal 1997 in poi, abbiamo assistito solo a norme di corto respiro, come gli sgravi fiscali alle imprese, che però non incentivano ad investire e non favoriscono lo sviluppo. È proprio tale modello che deve cambiare, abbassando il costo del lavoro per favorire la competitività, ma purtroppo il Jobs act non va in tale direzione".