Avevamo e avevate capito male. Di testamento biologico non si parla neppure. Semmai arriverà una legge di “fine vita”, per altro delimitata da vincoli strettissimi, tali da affidare ogni decisione al medico curante. E le volontà del malato? Solo valore consultivo, sotto forma di “dichiarazioni certe e aggiornate”, molto aggiornate, al punto da veder nullo qualsiasi valore testamentario. Questa è la lettura esatta delle parole del cardinale Bagnasco pronunciate or’è qualche giorno dinanzi al Consiglio permanente del vescovi. Traduzione di prima mano e di massima autorevolezza, trattandosi del folignate monsignor Giuseppe Betori, segretario generale della Cei di nomina ruiniana, al suo ultimo atto ufficiale prima di prendere possesso della sede arcivescovile di Firenze. Stoppate quindi le accuse sbrigative di relativismo avventato, rivolte a Bagnasco da teocon e atei devoti alla Ferrara. Ruini l’aveva detto: vedrete, Bagnasco non vi deluderà. Tutto ritorna nell’alveo di una conosciuta rigidità, come del resto nei vari campi della bioetica? La prima risposta è sì, e al momento una seconda non ce n’è. La decisione finale della Cei è, appunto, della Cei: un’idea, una proposta che dovrà attraversare l’arco politico del Parlamento, non ancora una legge fatta e finita. Chissà come andrà. Ma la Chiesa questo chiede e tutto farà per ottenerlo.

Ripercorriamo brevemente le argomentazioni di monsignor Betori a corredo del comunicato finale della sessione della Cei. Prima precisazione. Sua Eminenza Bagnasco –spiega- non ha affatto parlato di testamento biologico, “che è espressione di una cultura dell’autodeterminazione in relazione alla propria morte, mentre la Chiesa ritiene che la vita non sia a disposizione di nessuno, e che la persona non possa determinare la propria fine”. Seconda precisazione. Legiferiamo pure, “ma per proteggere la vita e rendere degno il momento della fine della propria esistenza”. Come? La volontà del paziente dovrà essere manifestata in modo “inequivocabile e certo”, soprattutto “recente”, perché si può sempre cambiare idea. Quanto recente? Sarà da stabilire. In ogni caso “l’ultima decisione spetta al medico”. Tra le scelte possibili “si deve escludere il rifiuto dell’idratazione e dell’alimentazione, che non sono attività curative, ma attività di sostegno vitale”. E a questo punto torna in ballo la stessa definizione di “accanimento terapeutico” che la Chiesa ha pur affermato di non voler perseguire ad ogni costo. Sarà un punto molto delicato e controverso nel dibattito parlamentare, a patto che Camera e Senato siano davvero messe in grado di affrontare un confronto aperto, non formule preconfezionate e di fatto blindate da una maggioranza straripante e arrogante la sua parte.

Terza precisazione. Perché la Chiesa si appresta ad una pur condizionatissima “apertura” su un tema che ha sempre considerato intoccabile? Si tratta di un cambiamento di rotta? La risposta di Betori: “Il cambiamento di rotta non è voluto da noi, ma da chi ha creato pronunciamenti legislativi che rendono insicura la fine della vita. C’è allora bisogno di salvaguardarla”. Il riferimento è, senza dubbio, alla sentenza Englaro”. Spiega: “Da qui è venuta la necessità di una legge che eviti sia l’accanimento che l’abbandono terapeutico”. Frenare, tamponare, allontanare la sola idea di eutanasia. Un punto di equilibrio di grande e, prevediamo, non serena certezza. Ma raramente la Chiesa sbaglia i tempi. Comprende che la delicatissima materia può sfuggirle di mano e che, forse, questo è il momento, più favorevole ad essa, per arrivare ad una soluzione conveniente. Non sarà una navigazione troppo tranquilla. Entrambi gli schieramenti politici appaiono divisi al loro interno dinanzi a decisioni, anche in campo legislativo, così drammatiche. Nello schieramento laico si avvertono segni di una qualche mobilitazione. Dall’Associazione Luca Coscioni arriva un giudizio assai aspro che la Chiesa non gradirà: “Propone un criterio di stampo marcatamente confessionale, inaccettabile in uno Stato di diritto”.

Il lungo addio di Ruini
Se da una costruzione togli un mattone, ne sposti almeno altri dieci. Il principio vale anche per un edificio solido, praticamente indistruttibile, come la Chiesa di Roma. Il 26 ottobre Giuseppe Betori farà il suo ingresso solenne a Firenze di cui sarà l’Arcivescovo (berretta cardinalizia assicurata). In città c’è attesa e una buona predisposizione all’accoglienza, dopo l’annuncio dato dal Vaticano il 9 di settembre. Sostituirà il cardinale Antonelli chiamato dal Papa al più alto incarico di presidente del Consiglio pontificio per la famiglia. Betori ha l’età e il ruolino giusto per compiere un salto importante nelle gerarchie ecclesiali. Nato a Foligno il 25 febbraio del 1947 fu ordinato vescovo da Camillo Ruini e da questi chiamato successivamente alla segreteria generale della Cei. L’uomo possiede molti tratti della consolidata bonomia umbra ed una esperienza “politica” romana di primo livello. Apprezzato anche dal mondo politico vero e proprio. Si è parlato a più riprese di suoi incontri discreti con esponenti di vari partiti quando si è dovuto affrontare momenti delicati nei rapporti tra Stato e Chiesa. Ma ormai per lui non c’era più posto nei nuovi organigrammi post-ruiniani predisposti da Joseph Ratzinger, con lentezza ma con determinazione. Interessante seguirne adesso l’attività in seno ad un cattolicesimo che ha dato figure eminenti come La Pira. Da semplice prete e come “Angelo del fango”, Firenze l’aveva conosciuta nei giorni dell’alluvione del ’66. Al Giubileo del 2.00 era stato l’organizzatore della colossale Giornata Mondiale della gioventù. A sostituirlo nella cabina di regia della Cei è stato chiamato il vescovo siciliano Mariano Crociata. Non si prendano abbagli, in questo caso non pare applicabile il detto “omen nomen”. Al contrario, monsignor Crociata è un esperto del dialogo con l’Islam pur da solide convinzioni pastorali. Ha 55 anni, era stato nominato vescovo da appena un anno ( a Noto), non si è mai distinto per frequentazioni degli ambienti della politica e della vita istituzionale. La fulminea chiamata a Roma ha destato non poca sorpresa. Spiegazione numero uno: criteri di geopolitica, mai il Meridione aveva avuto un posto ai vertici della Cei, il momento giusto per rimediare. Spiegazione numero due: nuova, decisiva tappa del progetto Ratzinger-Bertone per accentuare la caratterizzazione pastorale della Cei, in cui gli “affari italiani” figurano affidati pressoché in esclusiva al cardinale Bertone. Per schematizzare, emerge la triade Bertone-Bagnasco-Mariano. Quest’ultimo è tutto da scoprire. Pare evidente essere giunto il momento decisivo nello smantellamento dell’organigramma ventennale di Ruini, in nome di un riequilibrio dei ruoli: il lungo addio di Camillo Ruini. Un punto di forza gli rimane, quello della direzione del quotidiano Avvenire, dove Dino Boffo ha fatto un buon lavoro giornalistico. Ma anche qui si sono aperte le procedure per individuare il successore.

San Gennaro ambasciatore a Mosca
San Gennaro popolare e simpatico, non solo a Napoli. Anche capriccioso, il sangue si scioglie, non si scioglie, nessuno sa dire perché. Ogni lettura è possibile. Ma un ruolo di ambasciatore, per Lui, nessuno l’aveva fin qui immaginato. Ebbene, una preziosa reliquia (pare contenga un osso del Santo) è stata consegnata a Mosca all’arcivescovo di Napoli, cardinale Sepe, dal vescovo di Terni Vincenzo Paglia, e dal leader della Comunità di Sant’Egidio prof. Andrea Riccardi, nelle mani di Alessio Patriarca di tutte le Russie. Un segno di amicizia per sollecitare l’abbraccio tra Alessio e Benedetto XVI, tanto desiderato da Roma ma altrettanto fin qui ostacolato dalle divergenze teologiche, e ancor più pratiche, questione di beni materiali, persistenti tra le due grandi famiglie del Cristianesimo. San Gennaro è conosciuto e amato anche sulle rive del Volga, e noi non lo sapevamo. A Napoli, quest’anno, il suo dovere l’ha fatto, il sangue si è sciolto nella teca. Riuscirà, San Gennaro, a compiere il miracolo assai più impegnativo, della riconciliazione tra Ortodossi e Cattolici?