Le organizzazioni sindacali Nidil Cgil, Filcams Cgil e Filt Cgil hanno presentato al Tribunale di Milano una class action a tutela dei rider illegittimamente licenziati nel giugno scorso da Uber Eats, per i quali il Tribunale ha già ordinato alla multinazionale americana di revocare tutti i licenziamenti intimati. Lo annunciano le sigle, in una nota congiunta.

Sebbene la Cgil abbia ottenuto l’annullamento dei licenziamenti in Tribunale, ritenuti dal giudice di Milano antisindacali, ad oggi oltre 4.000 rider sono ancora privi di ogni forma di sostentamento in quanto la società di food delivery ha deciso di cessare le attività di consegna nel mercato italiano, ritenuto non sufficientemente redditizio. Questa scelta, per le lavoratrici e i lavoratori, determina anche l’impossibilità di percepire i compensi ai quali hanno diritto a seguito dell’ordine del giudice.

“È assai grave – sottolineano – che, nonostante le sentenze, Uber Eats persista nella sua decisione e impedisca ai rider di collegarsi alla piattaforma per lavorare e guadagnare quanto necessario per vivere. A tutela di questi lavoratori e lavoratrici che sono forzatamente inoperosi perché impossibilitati ad accedere alla piattaforma, quindi al ‘luogo di lavoro’, per rendere la prestazione, abbiamo deciso di promuovere, per la prima volta, una innovativa class action risarcitoria con cui intendiamo costringere Uber Eats a risarcire le migliaia di rider ai quali sta negando la possibilità di lavorare”.

“Auspichiamo che il Tribunale di Milano ammetta questa iniziativa – aggiungono le tre categorie sindacali – così da permettere a tutti i rider Uber Eats di rivolgersi al sindacato per partecipare alla class action e beneficiare del risarcimento che spetta loro a causa della indisponibilità della piattaforma a consentire le attività di consegna. È una scelta di responsabilità che la Cgil, da sempre vicina alle istanze dei rider, ha ritenuto di promuovere per dare voce ai diritti negati di migliaia di lavoratrici e lavoratori ai quali viene impedito il diritto a lavorare”.