Con l'incontro al ministero del Lavoro arriva la firma della cassa integrazione per cessazione di attività per i lavoratori della Pernigotti di Novi Ligure. Insieme a questo, c'è l'impegno per la reindustrializzazione e l'attivazione di politiche attive. "Oggi firmiamo per dare un sostegno al reddito ai lavoratori, ma ribadiamo la necessità di un incontro al Mise per dare un futuro lavoratori e al tessuto produttivo del territorio, legato indissolubilmente ad un marchio storico come Pernigotti. Chi vuole chiudere deve cedere il marchio e consentire la continuità di un brand così importante per tutelare la qualità e l’occupazione". Lo dichiara Angelo Paolella, della Flai Cgil nazionale, dopo il vertice.

Il sindacato quindi aggiunge: “Ci aspettiamo che il governo intervenga concretamente in questa direzione. Oggi abbiamo scritto una pagina triste per lo stabilimento Pernigotti, ma vigileremo affinché gli impegni sulla reindustrializzazione si possano concretizzare, valutando anche un fitto d’azienda per velocizzare la ripresa produttiva del sito”.

LA VERTENZA

Il futuro della Pernigotti, storica azienda dolciaria di Novi Ligure (Alessandria), è fortemente a rischio. Il 6 novembre scorso il gruppo turco Toksöz, che detiene l'azienda, ha annunciato la chiusura dello stabilimento, ma non la dismissione del marchio. L’intenzione della proprietà, infatti, è quella di commercializzare gianduiotti e torroni con il marchio Pernigotti, facendoli però produrre ad altre imprese (già oggi il 60 per cento delle produzioni avviene in Turchia). Una situazione molto complicata, dunque: sul tavolo di confronto, per ora, c’è soltanto il probabile accordo per la concessione della cassa integrazione straordinaria o per cessazione ai circa 100 lavoratori dell’impianto, che sono in assemblea permanente e che da tre mesi non percepiscono stipendi.

“Il ministero dello Sviluppo economico si assuma la responsabilità di fare chiarezza sulle diverse ipotesi di acquisto della Pernigotti che continuano a circolare, ma di cui non si ha alcuna certezza”. A chiedere l'intervento del governo è il segretario generale della Flai Cgil di Alessandria Marco Malpassi. “Continuano a susseguirsi indiscrezioni su possibili acquirenti”, prosegue l’esponente sindacale: “Dopo la Sperlari, che però parrebbe un'ipotesi già tramontata, resta il fondo indiano e circola la voce dell'interesse di un'azienda toscana, mentre i lavoratori continuano a rimanere nella più assoluta incertezza”.

Da settimane, infatti, si parla di manifestazioni d’interesse per l’impianto di Novi Ligure. All’inizio si era fatta avanti la cremonese Sperlari (dal settembre 2017 di proprietà della tedesca Katjes International Gmbh), poi la novarese Laica, ma non si sarebbe andati oltre il semplice pour parler. Più consistente è apparsa l’ipotesi – tuttora in campo – di un fondo d’investimento indiano, con base a Zurigo, di cui fanno parte 1.200 aziende: l’offerta riguarderebbe l’intero pacchetto (stabilimento e marchio), rilevando la maggioranza delle quote societarie e lasciando ai fratelli Toksöz la rete commerciale dei prodotti in Oriente. Negli ultimi giorni, infine, è circolato anche il nome dell’azienda senese Sielna, che recentemente ha acquistato il marchio Nannini. Finora, però, ancora nulla di concreto: da qui la richiesta della Flai al ministero, stante “la confusione che non fa che alimentare la preoccupazione dei lavoratori”, di attivarsi al fine di “chiedere alla proprietà turca di fare chiarezza”.