Niente, proprio non ce la fanno. Eccoli, alla Conferenza contro il femminicidio, a spiegare al mondo che il problema non è la cultura patriarcale, non è la politica, non è l’educazione. No. È il codice genetico del maschio. Così, come se la violenza fosse un’appendice del dna e non una responsabilità sociale, politica, personale.

Nordio che analizza la storia come se fosse un manuale di bodybuilding. Maschietti forti, femminucce deboli, l’evoluzione che decide chi comanda. Roba che neanche nei cinepanettoni. E poi quella perla della “tara mentale da ipnotisti”, detta con la serenità di chi non vede l’ora che la realtà smetta di bussare alla porta.

E mentre lui scava nei primordi, Roccella ci informa che l’educazione sesso-affettiva non serve. Che la Svezia ha più femminicidi e quindi figuriamoci se educare ai sentimenti può cambiare qualcosa. La logica: bocciata con riserva. Perché davvero, se un Paese non risolve tutto subito, allora meglio non provarci affatto.

Il quadro è questo: davanti a un’emergenza sociale, due ministri che invece di rafforzare gli strumenti educativi fanno acrobazie per spostare l’attenzione altrove. E soprattutto per togliere dalle loro mani il minimo obbligo di incidere sulla cultura.

La verità è che quando si parla di violenza di genere serve tutto. Le leggi. La prevenzione. L’educazione. Soprattutto quella. Ma niente. Proprio non ce la fanno a dirlo. In fondo è più facile dare la colpa ai propri gene che assumersi le proprie responsabilità.