"Dopo una lunga stagione di avanzamento, oggi in Italia ci troviamo in una fase di arretramento della condizione delle donne, dobbiamo averne coscienza. È importante che la valutazione degli effetti delle norme venga analizzato non solo dal punto di vista delle singole, ma in modo circolare. Essere donna non rappresenta una debolezza, ma una differenza". A dirlo è Susanna Camusso, responsabile delle Pari opportunità della Cgil nazionale, intervenendo mercoledì 6 marzo al seminario "L'uguaglianza non ha genere" organizzato a Roma, presso la sede del Cnel. "La donna in Italia non viene vista come una persona a pari dignità degli altri. Sei una vittima e tale devi rimanere, portando addosso un marchio", continua Camusso: "Abbiamo bisogno, quindi, di parlare di aspetti necessari in due variabili: l'occupazione e i gap che da esso si determinano. Non si crea occupazione senza investimenti".

L'ex segretario generale della Cgil propone "un'analisi di come si sviluppa il dibattito politico: non credo che si parlerebbe delle infrastrutture sociali, come asili nidi e scuola dell'infanzia, con la stessa veemenza della Tav, perché esiste una cultura di fondo per cui si può non fare infrastruttura sociale, visto che tanto ci pensano le donne. Sarebbe bene, invece, uscire dall'egoismo maschile e attuare un uso delle risorse più equilibrato. C'è una diseguaglianza non solo Nord-Sud, ma anche uomini e donne". Riguardo alla contrattazione di genere, Susanna Camusso evidenzia che "spesso si discute solo di problemi di conciliazione. Se ci riduciamo a questo, stiamo dentro uno schema secondo cui la maternità rappresenta problemi per le imprese in quanto costi, cosi come la salute dei figli. Dobbiamo spostare, invece, i costi sugli uomini, renderli compartecipi della genitorialità. C'è uno stereotipo diffuso delle lavoratrici che è in contrasto con la responsabilità e il far carriera. Gran parte del gap si basa sul fatto che premia la disponibilità intesa come presenza e modalità del lavoro, non la qualità di esso, una caratteristica che così esclude le donne. Se affermiamo un'uguale condizione, neghiamo però che esistono differenze, ciò vale sia per l'organizzazione del lavoro come per la riorganizzazione sociale. Attraverso la necessità di uguaglianza stiamo già precostruendo una nuova versione degli stereotipi".