Tredici anni di commissariamento, tredici anni di piano di rientro lacrime e sangue, gli ultimi dei quali gestiti direttamente dal presidente di Regione Roberto Occhiuto. In Calabria la sanità pubblica naviga in acque torbide e agitate da tanto, troppo tempo e il sereno tarda a vedersi. Da un lato la mancanza di medici ospedalieri e di medicina generale, infermieri e pediatri diventata quasi sistemica, dall’altro carenze infrastrutturali, reparti ridotti all’osso, nosocomi sottoposti a veri e propri smantellamenti e la medicina territoriale quasi cancellata.

Ecco allora che chi vive in Calabria si ammala prima di patologie croniche e muore prima, il tutto in una corsa straziante per curarsi. Lo dicono le cronache, il vissuto amaro di pazienti, degenti, assistiti, a cui poco conta di numeri e tabelle se non il vedere tradito il loro diritto a una sanità pubblica e universale. Ma le cifre servono a capire la portata della voragine nella quale è finita la sanità pubblica in Calabria. A partire dai Livelli essenziali di assistenza (Lea) che, secondo Agenas, non raggiungono la sufficienza in tutte le macro aree: prevenzione, distrettuale, ospedaliera. E non si fa fatica a crederlo se si pensa che nella regione mancano 2163 medici.

La corsa al reperimento dei medici cubani ne ha portati nella punta dello Stivale lo scorso anno 52, ai quali se ne andranno ad aggiungere a breve 126. Non va meglio nel caso dei medici di famiglia: secondo i dati Agenas la Calabria dal 2019 al 2021 ne ha perso 407. Nello stesso arco temporale sono andati in pensione senza essere sostituiti 69 pediatri. Accade così che nei piccoli centri per una visita pediatrica si debbano percorrere fino a trenta chilometri. Mancano medici, reparti, macchinari. La medicina territoriale, in una regione ricca di aree interne, prive di servizi e con collegamenti tortuosi, è pressoché inesistente.

Eppure ci si permette il “lusso” di avere ospedali chiusi e altri “posteggiati”. Ben tre i presidi ospedalieri che non sono stati mai terminati o i cui lavori non sono mai partiti. Si tratta degli ospedali di Palmi, di Vibo e della Sibaritide. Il tutto in un palcoscenico politico di annunci, proclami, slogan e brand, portato avanti dal Presidente di Regione Roberto Occhiuto nella sua veste di Commissario ad acta alla Sanità. Nel frattempo la cronaca racconta con regolare cadenza di casi che, se non fossero drammatici e spia di qualcosa di ben più grave, sembrerebbero attinti da barzellette da bar. Come nel caso della centenaria a cui è stata ingessata per due volte la gamba sbagliata nell’ospedale di Lamezia Terme; lo stesso in cui, una manciata di giorni dopo, alcuni cani randagi si aggiravano indisturbati, perché non esiste il personale a monitorare gli ingressi del presidio.

Ma ci sono anche coloro, tanti, che in Calabria non riescono nemmeno ad arrivarci in ospedale perché mancano le ambulanze (tempo medio di arrivo del mezzo 27 minuti) o sono demedicalizzate. Nei Pronto soccorso i medici in molti casi coprono solo in due il turno con carichi lavorativi e di pressione fuori norma, mentre nelle sale d’attesa si possono attendere anche 12 ore per la presa in carico. Mancano servizi, reparti, la possibilità di fare visite specialistiche in tempi consoni, ma la Regione Calabria ha speso poco meno del 30% dei 500 milioni di euro di fondi nazionali previsti per l’abbattimento delle liste d’attesa. L’emigrazione sanitaria aumenta costantemente con costi che vanno a gravare sulle casse già provate della Regione. L’ultimo dato disponibile è di 240 milioni di euro totali di debito.