Il 1969. Un anno difficile e straordinario durante il quale si incrociano le canzoni dei Beatles e quelle di Lucio Battisti, il drammatico gesto di Jan Palach e l’arrivo alla Casa Bianca di Richard Nixon, le immagini dell’uomo sulla Luna e le battaglie sindacali per le quaranta ore lavorative. Un anno di transizione che si chiude con la strage di Piazza Fontana e l’inizio della strategia della tensione. Nel 1969 sono interessati al rinnovo del contratto oltre 6 milioni di lavoratori: di questi 2.380.000 sono metalmeccanici, chimici ed edili. Ad essi si aggiungono 1 milione e mezzo di braccianti e salariati fissi. 

La Cgil propone agli altri sindacati tre temi da discutere col governo: casa e caro fitti, fisco, sanità, ma si riesce a trovare un’intesa solo sul primo tema. Il 19 novembre, lo sciopero generale nazionale per la casa ottiene un successo enorme, superiore anche a quelli per le pensioni e per le gabbie salariali.

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19 novembre 1969: una giornata di lotta indimenticabile

È l'autunno caldo. Oltre 6 milioni di lavoratori aspettano il rinnovo del contratto. A quella rivendicazione se ne aggiungono altre come il diritto alla casa. Ed è proprio per questa ragione che il 19 novembre 1969 l'Italia si ferma. Un successo enorme con oltre 20 milioni di dipendenti pubblici e privati che incrociano le braccia e il Paese di fatto paralizzato per 24 ore
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Intanto Fiom, Fim e Uilm indicono a Roma una manifestazione nazionale per il 28 novembre, la prima organizzata da una singola categoria. Nonostante gli inviti a chiudere le saracinesche dei negozi e a tenere a casa i bambini, il successo della manifestazione è enorme ed un corteo lungo cinque chilometri riempie Piazza del Popolo.

"Fu la prima manifestazione sindacale di massa nella capitale dagli anni del dopoguerra - dirà anni dopo Bruno Trentin - E fu certamente la prima di quelle dimensioni. Ma ancora una volta non fu la dimensione - più di 100 mila lavoratori venuti da tutta Italia - il fatto più importante, bensì la mobilitazione che la rese possibile; l’autotassazione di centinaia di migliaia di lavoratori per mandare i loro compagni a Roma; il sacrificio di dover sopportare, per molti di questi, due notti in treno e una giornata massacrante di cortei, per poi ritornare al lavoro all’alba del secondo giorno; la disciplina incredibile di cui furono capaci i lavoratori quando ‘sbarcarono’ in una città terrorizzata da una campagna di stampa senza precedenti; il cordone ‘sanitario’, fermo ma pacifico, con il quale i vari gruppi estremisti furono isolati dai diversi cortei di operai e di studenti che convergevano verso piazza del Popolo; il silenzio totale che interrompeva una manifestazione gioiosa e piena di invenzioni ludiche (nella quale esplodeva la fierezza di ritrovarsi insieme, ognuno con la propria identità di origine, di regione, di comune, di fabbrica) ogni volta che i cortei passavano davanti a un ospedale”.

“La manifestazione - ricorderà Pio Galli - esplodeva in un crescendo di rumori - campanacci, tamburi, fischietti, megafoni - che turbava l’ordine di una città abituata a ignorare i sacrifici, l’emarginazione, il logoramento fisico e psichico della vita in fabbrica. Ma era anche una festa, un momento di liberazione dal vincolo e dalla disciplina del lavoro alla catena, un’espressione di sé negli slogan gridati e scritti sui cartelli, nei pupazzi portati in corteo. In piazza del Popolo, all’imbrunire, si accesero migliaia di fiaccole. Un elicottero della polizia ci sorvolava, provocando fischi e reazioni. Dal palco dissero che la televisione stava filmando la manifestazione. Quel giorno non cadde un vetro. Centomila metalmeccanici avevano preso possesso della città e sfilato per ore, senza che accadesse un incidente (…). Un corteo operaio possente, composto e determinato fece impressione. I metalmeccanici cominciavano a contare”.

I tre segretari generali, Macario per la Fim, Benvenuto per la Uilm, Bruno Trentin per la Fiom, ribadiscono le motivazioni e le ragioni della lotta per il rinnovo contrattuale e l’impegno per una più generale battaglia per reali riforme strutturali, sociali ed economiche. Riforme che si concretizzano pochi mesi dopo con la firma dell’accordo dell’8 gennaio 1970.

Tra i risultati più rilevanti la riduzione dell’orario settimanale a 40 ore, il diritto di assemblea in fabbrica, significativi aumenti salariali, il riconoscimento dei rappresentanti sindacali. “Il sindacato varca quindi i cancelli della fabbrica - scriverà Sindacato Moderno - con tutto il suo potere e la sua forza (…) Un sindacato che ha avuto la capacità di collegarsi direttamente ai lavoratori e di saldare ad un confronto di massa permanente ogni suo atto, e che in questo modo è riuscito a dispiegare un imponente movimento rivendicativo in questi ultimi anni e a vincere una grande battaglia contrattuale. Il potere che oggi abbiamo tradotto anche in norma contrattuale, non è e non sarà soltanto scritto sulla carta, ma è un potere reale dei lavoratori e per i lavoratori. Si tratta cioè di un punto di partenza”.