Il 2 agosto 1980 alle 10 e 25, nella sala d’aspetto di seconda classe della stazione di Bologna, affollata di turisti e di persone in partenza o di ritorno dalle vacanze, un ordigno a tempo, contenuto in una valigia abbandonata, viene fatto esplodere causando il crollo dell’ala ovest dell’edificio. È il più grave atto terroristico avvenuto in Italia nel secondo dopoguerra: nell’attentato rimarranno uccise 85 persone, oltre 200 saranno i feriti. 

La più piccola tra le vittime è Angela Fresu, aveva tre anni e veniva da Montespertoli, sulle colline attorno a Firenze; il più anziano è Antonio Montanari, aveva 86 anni e aspettava l’autobus sul marciapiedi davanti alla stazione. Una strage spaventosa, per usare le parole de l’Unità del giorno successivo.

“Bologna capace d’amore, capace di morte” reagisce con prontezza ed orgoglio trasformandosi in una gigantesca macchina di assistenza per le vittime e per i familiari. Simbolo della commossa partecipazione l’autobus n. 37, pronto soccorso improvvisato poi diventato carro funebre usato per trasportare i morti dalla stazione all’obitorio.

Il 6 agosto, giorno dei funerali, la città onora le sue vittime con una grande manifestazione in Piazza Maggiore cui partecipano circa 100 mila persone. Ancora prima dei funerali si svolgono numerose manifestazioni a testimonianza della immediata reazione della città: la sera del 2 agosto è indetta una manifestazione in Piazza Maggiore; il 4 agosto 30-40 mila persone si ritrovano nella stessa piazza.

Ai funerali (non tutti i parenti delle vittime vollero il funerale di Stato: solo sette saranno le bare presenti nella chiesa di San Petronio) partecipano il presidente della Repubblica Sandro Pertini e il sindaco di Bologna Renato Zangheri, gli unici a ricevere gli applausi della folla. “Signori, non ho parole -  dirà Pertini parlando con i giornalisti - siamo di fronte all’impresa più criminale che sia avvenuta in Italia”. 

Ricorderà anni dopo il sindaco Zangheri: “Il 2 agosto di trentuno anni fa, quando scoppiò la bomba, non mi trovavo a Bologna, ero in vacanza. Appena venni a conoscenza di quanto stava accadendo rientrai immediatamente. Quando mi trovai in stazione venni colpito nel profondo dalla devastazione che regnava ovunque. Bambini moribondi, feriti ovunque, uno strazio che arrivava da ogni angolo della tragedia”.

Signor presidente della Repubblica - diceva il giorno dei funerali - torniamo su questa piazza dove di fronte ad altri morti avevamo detto che la strage dell’Italicus non avrebbe mai dovuto ripetersi. Se si è ripetuta, nonostante la lotta e la volontà democratica del nostro popolo, e in misura più grande e se possibile più atroce (…) Eccoci di nuovo a interrogarci sulla barbarie, se abbia una logica, un filo conduttore, uno scopo percepibile. Che cosa si è voluto? Seminare il panico, indebolire le difese della Repubblica, fino a soffocarla? Spostare l’asse politico su posizioni di cieca conservazione? O suscitare una reazione violenta, per poi, dopo averla provocata, preparare le condizioni della repressione? In queste ore di lutto non possiamo evitare le domande, lo sforzo di capire, se non vogliamo che l’angoscia si muti in disperazione. E’ necessario capire la logica del delitto per combatterlo. (…) Lo stesso copione che ha portato alla strage del 2 agosto è stato provato sull’Italicus. La stessa città, lo stesso nodo ferroviario, gli stessi giorni delle vacanze, quando i treni e le stazioni sono affollati dalla gente che parte, forse lo stesso proposito di recitare il crimine anche sul corpo di viaggiatori stranieri, e quindi di dimostrare ad altri popoli e governi la debolezza della nostra democrazia e forse, mi inoltro nella logica aberrante di questi nostri nemici, di giustificare futuri colpi liberticidi (…) Ma noi bolognesi un impegno di fronte al Paese, alle memorie della Resistenza, di fronte all’avvenire, ai giovani, a coloro che in tutta Italia attendono ancora una volta la nostra risposta, e che da tanti paesi stranieri ci hanno inviato parole di pietà, di amicizia e di incitamento, un impegno severo e fermo vogliamo prenderlo. Sulla linea che divide la democrazia dall’eversione non arretreremo, al contrario combatteremo con maggior vigore e una più chiara consapevolezza della posta in gioco. È una posta altissima. Sono attaccate le conquiste della Costituzione, il diritto dei lavoratori a costruire una società giusta, le attese delle giovani generazioni, l’esigenza umana e politica del cambiamento. Ci batteremo duramente perché questa prospettiva non sia negata. Abbiamo forze e convinzioni che non si esauriranno nel giro dei giorni e degli anni (…) Ognuno dovrà compiere il proprio dovere, come l’hanno compiuto le donne e gli uomini accorsi alla stazione di Bologna nelle ore della strage, per soccorrere e salvare: semplici cittadini, personale sanitario, magistrati, dipendenti degli enti locali, ferrovieri, vigili del fuoco, militari, forze dell’ordine, e la moltitudine che è su questa piazza a raccogliere la sfida del terrorismo. Grazie di essere venuti. Assieme non potremo essere sconfitti.
Il saluto alle vittime è in questo momento, signor presidente della Repubblica, una promessa morale e politica di fedeltà alle ragioni del progresso umano ed è fiducia in una giustizia che non può fallire perché poggia sull’animo di grandi masse di donne e di uomini. Così noi affermiamo oggi la nostra difficile speranza e chiediamo a tutti di combattere perché la vita prevalga sulla morte, il progresso sulla reazione, la libertà sulla tirannia.

Ma fuori della chiesa la gente in piazza inizia già durante la messa a contestare le autorità. Solo Pertini e i Zangheri ricevono degli applausi. "Sandro vieni con noi, non stare con gli impostori", grida qualcuno. 

Ci sarà anche chi come Anna Maria Montani, che alla stazione aveva perso la madre, rifiuterà di stringergli la mano. “Mica per lui, che è una bravissima persona - dirà - ma semplicemente per quello che rappresenta. Ai politici, agli uomini dello Stato che non cambiano mai, io la mano la stringerò quando avranno di tutto per trovare gli assassini di mia madre”.

In fondo noi tutti aspettiamo ancora di poterla stringere quella mano.