La cornice d’intervento è ancora troppo generale per capire e giudicare le intenzioni del governo circa l’utilizzo del Recovery fund. Nell’incontro tra i sindacati e il ministro dello Sviluppo economico, Stefano Patuanelli, che si è tenuto il 29 settembre, è stata definita la cornice generale d’intervento, ma con obiettivi ancora non sufficientemente specifici. Il segretario generale della Cgil, Maurizio Landini, ha apprezzato la disponibilità a fissare ulteriori incontri di approfondimento e “l'idea che non si stia lavorando su cento progetti, ma che si vuole andare a individuare una serie di priorità di cui il Paese ha bisogno".

Chiara però la richiesta per una convocazione dei sindacati a Palazzo Chigi, per parlarne direttamente con il premier Giuseppe Conte, “perché non c'è da discutere solo su come si spendono i soldi del Recovery fund, ma anche capire come si spendono i soldi dei fondi europei 2021-2027, del Sure, della coesione sociale e anche come si rifinanziano leggi che già ci sono". La somma di denaro è davvero ingente, quindi, per Landini, è ora necessario “un coordinamento e scelte che vadano in una direzione comune”.

Un esempio dei temi da dettagliare è quello della decarbonizzazione, come indicato anche in sede europea: “E’ un principio largo – spiega la segretaria nazionale della Cgil, Gianna Fracassi, presente all’incontro al Mise -, ma si deve spiegare cosa vuole dire e di quali risorse potrà disporre, ma in merito alle priorità il dibattito tra i diversi ministeri è ancora in corso”. Come sostiene Fracassi tre sono i fattori principali sui quali bisognerà insistere. Il primo è la coerenza tra i singoli progetti, tra i ministeri e tra i territori; il secondo è la selezione delle priorità in relazione a quanto affermato dalla Commissione europea, che ha individuato sette grandi obiettivi ai quali tutti i Paesi devono concorrere in base a una matrice di politica industriale europea; la terza è la governance, vale a dire chi gestirà la partita”. E’ proprio su questo ultimo punto che potrebbe quindi innestarsi l’ipotesi del governo di nominare sei commissari (tecnici o figure ministeriali) per vigilare sulla tabella di marcia della spesa dei 209 miliardi di euro che arriveranno dal fondo europeo e non rischiare di perderne ingenti quantità a causa di ritardi e intoppi burocratici.

Un tema che richiederà la massima vigilanza è come si interfacceranno gli interventi nei siti di interesse industriale, come Torino, Taranto e Genova, con quelli sulle aree di crisi, perché è necessario che facciano parte di un piano che sia complessivo e che veda nella governance anche la partecipazione delle parti sociali.  

Concorda sulla strettissima necessità di una visione complessiva anche un altro dei partecipanti all’incontro con Patuanelli, il segretario nazionale della Cgil Enrico Miceli, il quale ci ricorda l’esistenza di un capitolo che riguarda il Mezzogiorno, il cui sviluppo, sino a ora, è rimasto legato al sistema fossile e dovrà essere proprio il Recovery fund lo strumento che consente il processo di transizione verso un nuovo sistema. “Non possiamo pensare che si lasci fare al mercato – sostiene Miceli -. E’ necessario un intervento del sistema pubblico a tutti i livelli, anche per accelerare i tempi della spesa, guadare al processo di riconversione complessiva del sistema economico e guidarne il processo”.

In estrema sintesi i sindacati chiedono al governo un piano complessivo di progetti tra loro coordinati e la partecipazione dei rappresentanti dei lavoratori ai processi decisionali. Lo chiedono a un esecutivo impegnato su più fronti, quello interno, quello con l’opposizione e, non ultimo, quello europeo. Proprio nelle ultime 48 ore si è infatti palesato il rischio che il blocco di Paesi guidato dall'Ungheria allunghi i tempi dell’adozione del Recovery fund, con forti ripercussioni sui piani del governo italiano, determinato a tenere conto dei fondi europei anche nella compilazione della nota di aggiornamento al documento di economia e finanza. Ai tanti ostacoli si aggiunge ancora il primo ministro ungherese Orban, che ha finanche richiesto le dimissioni della vicepresidente della Commissione europea, portando l’Italia a sperare nella presidenza di turno tedesca perchè garantisca un percorso senza troppe insidie.