In Inghilterra ci sono voluti cinque anni di lotte e scioperi per rafforzare lavoratori e sindacati, ma alla richiesta di aumento salariale, Amazon ha proposto cinque centesimi di sterline all’ora. In Germania il percorso delle rivendicazioni è partito da più lontano: dieci anni per un accordo collettivo che il colosso non ha ancora firmato. In Spagna meno del 2 per cento dei magazzini ha una rappresentanza. Andando fuori dall’Europa, in Australia, dove Amazon è cresciuta del 480 per cento in un anno, l’azione sindacale ha portato alla stabilizzazione di molti addetti a tempo determinato.

La mappa dei diritti

Le battaglie fatte e quelle da fare, gli accordi siglati e quelli proposti, il percorso compiuto e le richieste inevase sono un puzzle variegato che pezzo dopo pezzo compone la mappa mondiale dei diritti dei lavoratori negli stabilimenti del gigante dell’e-commerce. Una mappa che a leggerla da vicino e con attenzione ci restituisce l’immagine di una multinazionale che non spadroneggia più come qualche anno fa.

Mentre Amazon si comporta ovunque allo stesso modo (infatti, dall’India agli Stati Uniti, dalla Polonia all’Italia adotta le stesse dinamiche e applica i medesimi modelli produttivi), in ogni Paese i lavoratori hanno reagito e si sono organizzati in modo diverso per vedere rispettato il loro diritto a essere rappresentati, aprire interlocuzioni con l’azienda, chiedere più rispetto e dignità.

Stessi problemi, risposte diverse

“I problemi sono gli stessi in tutto il mondo, sono legati alla sicurezza, alle condizioni di lavoro, all’impatto dei siti sui territori e sull’ambiente, ma le risposte sono sempre diverse – spiega Manola Cavallini, area contrattazione Cgil nazionale, che ha partecipato insieme ai rappresentanti delle categorie Nidil, Filt e Filcams al summit Make Amazon Pay a Manchester, tre giorni di confronto fra rappresentanti sindacali, istituzioni, società civile, politici -. L’Italia ha certamente dato l’esempio e ha tracciato una strada: abbiamo eletto delegati nei magazzini, abbiamo siglato accordi, instaurato relazioni industriali sia nel commercio che nel trasporto, sottoscritto protocolli sugli strumenti di controllo dei lavoratori. Ma quello che sta succedendo nel resto del mondo ci dice che Amazon non è più un monolite, che un po’ ovunque la lotta sindacale sta pagando nel contrastare il suo strapotere”.

Le questioni sollevate dai lavoratori sono comuni a tutti i Paesi: la sorveglianza, l’algoritmo, i licenziamenti per scarsa produttività o per assenze per malattia e infortunio, la salute e sicurezza, i carichi, i ritmi, la mancanza di diritti sindacali e agibilità, la difficoltà nel linguaggio per la presenza di tanti impiegati non nativi. E poi le preoccupazioni per il futuro e per il livello occupazionale, le strategie per la robotica, l’intelligenza artificiale, l’uso dei droni.

Passo Corese (Rieti), 22 marzo, 2021 : Presidio di fronte lo stabilimento di Passo Corese durante lo sciopero generale dei lavoratori Amazon. Foto di Remo Casilli/Sintesi
Passo Corese (Rieti), 22 marzo, 2021 : Presidio di fronte lo stabilimento di Passo Corese durante lo sciopero generale dei lavoratori Amazon. Foto di Remo Casilli/Sintesi
Passo Corese (Rieti), 22 marzo, 2021 : Presidio di fronte lo stabilimento di Passo Corese durante lo sciopero generale dei lavoratori Amazon. Foto di Remo Casilli/Sintesi ()

Un colosso nel colosso: Aws

“E poi c’è Amazon Web Service, la società che gestisce servizi di elaborazione e storage di database, distribuzione di contenuti e altre funzionalità, un tema che è emerso quest’anno – afferma Francesco Melis, Nidil Cgil -. Interessante non perché nuova ma perché è una delle parti del colosso che fa maggiori profitti oggi nel mondo: ha siglato più di 75 mila contratti con enti pubblici locali e nazionali, tra cui anche ministeri, un vero e proprio monopolio di raccolta e gestione di dati e informazioni, che controlla il 35 per cento del cloud globale e il comparto più redditizio dell’attività: due anni fa i contratti sottoscritti valevano 300 milioni di dollari, oggi il valore è di 5 milioni. Il sindacato inglese Gmb Union ne sta mappando le attività e ha rilevato che in undici Paesi i guadagni sono aumentati del 50 per cento grazie all’Aws”.

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Le tante questioni aperte

Un business in grande espansione che pone anche altre questioni. Innanzitutto ci si chiede come mai la gestione e l’accesso a informazioni delicate e sensibili siano affidate a un’azienda privata. Inoltre, i siti hanno un rilevante impatto ambientale. In Sud Africa c’è il tentativo di Amazon di insediarsi con un centro logistico e informatico in un territorio particolare che ha un valore culturale e religioso per le comunità indigene, 150 mila metri quadrati, alla confluenza di due fiumi, lavori che sono stati fermati dal tribunale. In Irlanda gli stabilimenti aperti anche grazie alle agevolazioni fiscali al 42 per cento, assorbono una grande quota di energia elettrica dell’isola, fino al 20 per cento.

E ancora. Il controllo dei lavoratori e la tutela della privacy, questioni delicate su cui in Italia sono stati fatti passi in avanti. L’anno scorso è stato firmato a Cagliari il primo accordo aziendale tra il gigante tecnologico e le organizzazioni sindacali delle telecomunicazioni su smart working, sicurezza e i livelli retributivi.

Dialogo europeo

“L’intesa è frutto di un protocollo di relazioni industriali con Amazon che ha portato a normare per il customer care il tema della privacy e del controllo a distanza – spiega Francesco Deiana della Slc Cgil -. Pensiamo che si debba continuare a tutelare i diritti e creare un dialogo a livello europeo che coinvolga anche le istituzioni della Ue. Tra i fronti aperti, la redistribuzione della ricchezza nei territori, tra i lavoratori che contribuiscono a produrla, e gli investimenti aziendali di 4 miliardi di dollari per la robotica e l’intelligenza artificiale”. Per il sindacato queste risorse devono servire per creare un sistema che non sostituisca i lavoratori, ma li aiuti.

Battaglie e azioni comuni

“A fronte di tutte queste sfide l’alleanza Make Amazon Pay ha composto un'agenda completa con l’obiettivo di far pagare il gigante tecnologico – racconta Jeff Nonato, di Filcams Cgil nazionale -, il cui primo appuntamento sarà lo sciopero globale il 24 novembre in occasione del black Friday: una fondamentale mobilitazione alla quale aderiranno i lavoratori di oltre 30 Paesi al mondo. Appare sempre più chiaro come davanti a colossi quali Amazon, in grado di piegare anche le scelte politiche alle proprie esigenze, diventi sempre più necessario ragionare sindacalmente in ottica transnazionale, così da unire battaglie e istanze”.

Il modello italiano

“Il modello italiano di lotta e rivendicazioni va difeso e valorizzato – dichiara Elisa Gigliarelli, Filt Cgil nazionale -. Se rimane una mosca bianca nel panorama europeo o globale, se viene messo in discussione o in crisi, questo può avere un impatto sui lavoratori non solo italiani e di tutto il mondo. Anche se ci sono condizioni di partenza differenti, e anche se sono diverse le condizioni politiche, normative e sindacali, quello che siamo riusciti a ottenere qui va esportato. Per questo stiamo lavorando con Etf, la federazione europea dei lavoratori dei trasporti, a un coordinamento su e-commerce e logistica, nel quale affrontare problemi comuni per trovare strategie comuni. Se il capitale è globalizzato, dobbiamo lavorare necessariamente insieme agli altri perché le risposte siano il più possibile comuni”.

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